Comunicazione efficace: cos’è e perché imparare ad applicarla nel business
È impossibile non comunicare, tanto vale farlo con intenzione ed efficacia, nella vita privata e nel business.
Sarà capitato anche a te di chiudere una telefonata o di uscire da una riunione col mal di pancia, perché la persona dall’altra parte ti ha messə con le spalle al muro. Oppure, al contrario, perché sei statə tu a prevaricare e quando l’adrenalina è scesa, hai provato rimorso e magari anche un po’ di vergogna per il tuo comportamento.
Quando la comunicazione fallisce, fallisce anche la relazione. E inevitabilmente ne escono tutti sconfitti.
Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.
Zygmunt Bauman
Comunicare efficacemente può essere difficile, anche se sei freelance
Spesso si pensa che aprire partita IVA e avere un proprio business liberi in automatico da tutti i problemi del lavoro dipendente: non c’è più un capo a controllarci, non ci sono i colleghi scaricabarile, non c’è più il cliente “dell’azienda” a cui non si può negare nulla… Poi, quando si diventa freelance, si scopre che, in realtà, c’è sempre qualcuno a cui dover rendere conto: il cliente, un partner, un socio, la propria famiglia. I motivi di contrasto (e di conflitto) restano e se non si lavora prima per imparare a gestirli, si finisce per pensare:
“Devo imparare a dire più no.”
“Non sopporto chi non vuole capire.”
“Odio il conflitto, penso di non uscirne mai vincente…”,
“Sono gelosa degli altri colleghi.”
“Ho scarsa fiducia nel genere umano, vorrei mandare a quel paese tutto e tutti.”
“Rimugino sugli errori fatti.”
“Le persone non mi considerano.”
“Non riesco a comunicare quello che voglio davvero e nel confronto soccombo…”
Ti ritrovi, almeno in parte, in queste affermazioni?
Sono alcune delle frasi che ho ascoltato in questi anni, nei miei percorsi di business coaching, da parte di chi lavora come dipendente e anche di chi è freelance, spesso da tempo. Hanno tutte un elemento in comune: lo scollamento tra ciò che la persona sente o desidera davvero e ciò che finisce per dire.
Moltə freelance e professionistə vivono con frustrazione, ansia e disagio il confronto con colleghi, clienti e fornitori. Nella maggior parte dei casi questo succede perché non hanno ancora lavorato su comunicazione efficace e assertività: due fra i temi a me più cari, perché hanno molto a che vedere con l’autostima, l’autoefficacia e quindi con l’autorealizzazione. Ma sono anche argomenti tipicamente appannaggio della psicoterapia. Quindi non ne parlerò da sola: questo, infatti, è un articolo intervista a quattro mani con la psicologa Alessia Minniti.
Insieme, vedremo cos’è la comunicazione efficace, perché non c’è comunicazione efficace senza assertività, quali tecniche utilizzare per metterla in pratica, ognuna di noi dal suo punto di vista: Alessia, in quanto psicoterapeuta ed io portando la mia esperienza di 30 anni nel mondo del lavoro, come export manager prima e business coach poi.
Fulvia: Partiamo con le presentazioni. Ciao Alessia, raccontaci chi sei e di cosa ti occupi.
Alessia: Ciao Fulvia, intanto grazie mille per questo invito, visto il tema dell’intervista diciamo che mi ha aiutato ad andare oltre la mia sindrome dell’impostore! Certe volte ci vuole proprio la spintarella… Io faccio la psicoterapeuta. Per tanti anni ho lavorato in una clinica universitaria, nello specifico occupandomi di obesità e disturbi dell’alimentazione, poi nel 2017 ho fatto il grande salto e ho deciso di licenziarmi per iniziare la libera professione e, contestualmente, accettare un incarico come docente presso una scuola di specializzazione post-universitaria che forma i futuri psicoterapeuti. Oltre a queste due attività, sono anche insegnante di mindfulness e conduco gruppi di riduzione dello stress e terapia cognitiva basata sulla mindfulness.
Fulvia: Nel tuo lavoro è frequente incontrare persone che hanno difficoltà a comunicare cosa sentono davvero. Immagino che, a volte, questo disagio possa nascere dalla mancanza di autostima. Quindi, inizierei la nostra intervista proprio da qui, cercando di capire cosa sono la comunicazione efficace e l’autostima.
Cos’è la comunicazione efficace?
Fulvia: La comunicazione efficace è uno strumento che ci permette di esprimere il nostro pensiero e le nostre opinioni con chiarezza, sincerità e decisione, nel rispetto del nostro interlocutore. Comunicare con educazione e con forza è una capacità che si può sviluppare col tempo. Alessia, secondo te, quali sono le condizioni per poter comunicare efficacemente o comunque per provare a dire ciò che per noi è importante, senza soccombere o senza aggredire l’altro?
Alessia: Prima di tutto dobbiamo cercare di ascoltare davvero chi ci parla e guardare oltre ciò che ci viene detto a parole, cogliere sottintesi e “non detti”, osservando il linguaggio del corpo, il tono della voce, lo sguardo dell’altro. Dobbiamo cercare di andare oltre la comunicazione verbale e analizzare anche il para-verbale, metterci in ascolto sincero e il più possibile senza pregiudizi, per poi presentare il nostro punto di vista con equilibrio e fermezza, rispettando il nostro interlocutore. Perché, come giustamente dici tu, comunicare efficacemente vuol dire non cedere e non prevaricare.
Cosa si intende per autostima?
Fulvia: Per non cedere e non prevaricare, è utile aver lavorato sulla propria autostima. Puoi aiutarmi a darne una definizione?
Alessia: Possiamo definire in maniera concisa l’autostima come l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di sé stesso. William James, il padre della psicologia moderna statunitense, la concepisce come “il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi”. In questa definizione, quindi, alcuni concetti importanti sono le credenze che abbiamo su di noi e i nostri scopi.
Le credenze, ciò che pensiamo di noi, possono essere neutre, cioè puramente descrittive (“sono sposata e vivo a Verona”) e valutative (“sono una buona amica”, “sono una cuoca mediocre”). Il confine tra questi due tipi di credenza non è così netto, diciamo che quando è presente uno scopo per il quale quella caratteristica svolge un ruolo di potere (per esempio, essere intelligenti implica avere potere rispetto allo scopo di risolvere problemi), cioè diventa un mezzo utile per raggiungerlo, la credenza perde la neutralità e diventa valutazione. E le valutazioni ci servono per muoverci nel mondo, senza di esse agiremmo “al buio”.
Cosa c’entrano le valutazioni con l’autostima?
Maria Miceli, autrice del libro “Autostima”, ci dice che per avere una buona autostima, due sono le strade possibili da percorrere:
- cercare di guadagnarci buone valutazioni – o autovalutazioni – tentando di essere al meglio
- conseguire successi e progredire
e poi la scorciatoia, cercare di convincerci che corrispondiamo alle nostre aspirazioni.
Abbiamo visto anche l’importanza degli scopi, questo ha a che fare con il perché alcune valutazioni incidono di più e altre meno sulla nostra autostima: perché una autovalutazione abbia un forte impatto sull’autostima non conta tanto che sia molto positiva o negativa, ma che riguardi scopi importanti per l’individuo.
Insomma, se per me non è così importante saper cucinare bene, una valutazione di me come cuoca mediocre non inciderà molto sulla mia autostima!
Fulvia: Questa riflessione ha molto a che vedere anche con il business: costruire un’attività freelance o da liberə professionista che ci rappresenti e che sia di successo per noi, significa prima di tutto capire cosa ci muove, quali sono i nostri obiettivi e le nostre priorità. Tenere la barra dritta e puntare in una direzione chiara, che parte da cosa desideriamo davvero, ci aiuta anche a non cedere alla paura e al giudizio degli altri, a non sentirci sconfittə al primo ostacolo e a comunicare efficacemente…
Perché, diciamoci la verità, sulla carta sembra tutto molto semplice, ma nella pratica non lo è affatto.
La percezione del nostro successo nel lavoro e nella libera professione, ad esempio, c’entra molto con alcuni aspetti che, personalmente, trovo spesso in sessione: come ci parliamo, come pensiamo e di conseguenza come agiamo. È tutto collegato. Se siamo i primi a criticarci e a mettere in discussione noi e la nostra attività, se sviliamo i risultati raggiunti e ci chiudiamo, rimanendo rigidi sulle nostre posizioni, miniamo alla base il senso delle scelte che abbiamo fatto.
E così comunicare cosa sentiamo diventa ancora più difficile.
A questo proposito, secondo me, non c’è comunicazione efficace senza una buona autostima e senza assertività. Sei d’accordo?
Alessia: Sì, per esprimere i nostri bisogni e il nostro punto di vista con equilibrio, dobbiamo lavorare prima di tutto sull’assertività.
Cos’è l’assertività e quali sono i comportamenti anassertivi?
Fulvia: Assertività deriva dal latino “ad serere”, che significa “asserire, dichiarare”: affermare sé stessi. È la capacità di saper esprimere in modo equilibrato e chiaro le proprie emozioni, le proprie idee, le proprie opinioni, i propri sentimenti, senza sottomettersi né aggredire gli altri. Quindi, vuol dire darsi la possibilità di dire e dare all’altro consapevolmente, senza paure o sensi di colpa.
Quando non riusciamo a essere assertivə, adottiamo dei comportamenti che potremmo dire di compensazione: passivo, aggressivo o quello che io chiamo “il rimprovero silenzioso”, cioè il passivo-aggressivo o aggressivo indiretto. Molti problemi di relazione, nella vita e nel lavoro, hanno come denominatore comune la mancanza di assertività.
Alessia, potresti aiutarci a capire che cos’è il comportamento assertivo? E come si differenzia da quello passivo, passivo-aggressivo e aggressivo?
Alessia: L’assertività è un’abilità sociale, adottare un comportamento assertivo significa comunicare i propri bisogni, desideri e opinioni in modo chiaro e coerente, nel pieno rispetto dei propri diritti e di quelli dell’altra persona.
Questo ci fa subito comprendere che la comunicazione con l’altra persona è solo la punta dell’iceberg del comportamento assertivo; prima ancora di essere un modo di comunicare e agire, è un modo di percepire e considerare sé stessi all’interno di una relazione e un modo di considerare sé stessi/e in relazione alle situazioni e agli eventi che si vivono. In poche parole: se non ho chiaro il mio ruolo in una relazione e quali sono i miei bisogni, desideri e opinioni sarà molto difficile comunicarli all’esterno in modo assertivo.
Spesso l’assertività viene rappresentata al centro di un continuum di stili comunicativi, dove ai poli opposti troviamo lo stile passivo e quello aggressivo. Questa rappresentazione, a mio avviso, però, non è totalmente adeguata perché troviamo anche il caso del comportamento cosiddetto passivo-aggressivo.
Io preferisco rappresentarmi questo continuum come un cerchio dove i poli opposti possono anche incontrarsi dando vita proprio a quest’ultimo esempio e dove tutti gli altri stili al di fuori dell’assertività possono essere definiti anassertivi.
Ma vediamoli uno per uno.
Stile passivo
La persona tende a reprimere i propri bisogni, le proprie opinioni e sentimenti, con l’obiettivo di evitare il conflitto, i giudizi negativi, i rimproveri e le colpevolizzazioni da parte delle altre persone; spesso ha la convinzione di non essere in grado di gestire i conflitti e le situazioni di disaccordo e ne teme le conseguenze. In questo senso tenta di assicurarsi l’approvazione ed evitare l’esclusione sociale o l’umiliazione.
Lo stile passivo a lungo termine può inficiare l’autostima e il senso di autoefficacia, a causa della continua e persistente rinuncia e repressione dei propri bisogni individuali, e desideri, a favore del mantenimento dell’accondiscendenza delle altre persone. In questo modo, alla lunga, possono emergere risentimento, frustrazione e senso di impotenza, che facilmente sfoceranno nel comportamento passivo-aggressivo.
Stile aggressivo
È tipico di chi lascia poco spazio agli altri, impone le sue opinioni e i suoi desideri e non ammette quasi mai di avere torto. Contrariamente alla persona che si comporta passivamente, si mette al di sopra degli altri, tende a dominare le altre persone senza considerare il loro punto di vista.
La persona può essere convinta che solo con l’aggressività e la dominanza sia possibile essere considerati, farsi valere e dimostrare il proprio valore. Tuttavia, lo stile aggressivo, se persistente e pervasivo, può portare a un progressivo isolamento sociale o a difficoltà nelle relazioni interpersonali, caratterizzate da rancore, frustrazione e/o sottomissione nell’interlocutore, con conseguente logoramento della qualità della relazione.
Stile passivo-aggressivo
Questo stile è una combinazione subdola degli altri due: la persona evita il confronto diretto, ma esprime la sua rabbia o frustrazione in modi indiretti e manipolatori. Sotto una facciata di conformità si nasconde ostilità. Comportamenti tipici possono essere l’uso del sarcasmo, la comunicazione indiretta, il muro di silenzio, il rifiuto velato o la procrastinazione intenzionale, le frecciatine o i pettegolezzi.
Stile assertivo
È caratterizzato dal rispetto verso sé stessi e le altre persone e dall’autoresponsabilità: la persona che mette in atto uno stile assertivo ha un atteggiamento positivo e di fiducia verso sé stessa e il mondo esterno. Riconosce, rispetta ed esprime i propri bisogni nel rispetto di quelli altrui.
Lo stile assertivo implica l’ascolto attivo e la comprensione delle prospettive altrui, oltre che l’espressione dei propri bisogni e opinioni. Permette agli individui di riconoscere e legittimare il proprio valore e di comunicare i propri bisogni e le proprie opinioni con fiducia e sicurezza, in questo modo consente la creazione e il mantenimento di relazioni interpersonali più soddisfacenti, con una migliore capacità di gestione dei conflitti e di gestione dei confini nelle relazioni.
Le persone assertive sono in grado di formulare richieste ed esprimere dei rifiuti, tentando di preservare una buona relazione con l’altro.
Come adottare comportamenti più assertivi e comunicare efficacemente
Fulvia: Perché sviluppiamo comportamenti anassertivi? E come possiamo modificarli attraverso la terapia?
Alessia: La maggiore o minore propensione a comportarsi in modo assertivo è determinata dal modo in cui la persona guarda a sé stessa, alla persona che ha di fronte e alla situazione in generale. Ogni comportamento è determinato dal nostro modo di pensare, dalle nostre emozioni e dai nostri pensieri.
Emozioni e comportamenti derivano dalla nostra storia di apprendimento. Il fatto che alcuni nostri modi di pensare, sentirci emotivamente e comportarci siano stati rinforzati o meno, determina il nostro bagaglio di credenze su noi stessi/e e il mondo. Tutto ciò alla fine influenza il nostro stile di relazione.
In particolare, l’idea che abbiamo di noi stessi/e in termini di valore e importanza, e il grado di fiducia nelle nostre capacità, influiscono sul nostro stile di relazione interpersonale determinando la propensione ad agire in modo passivo, aggressivo o assertivo.
Quindi ritorniamo al tema affrontato all’inizio della nostra intervista: il ruolo dell’autostima, e qui aggiungerei anche dell’autoefficacia, è determinante sul modo in cui noi decidiamo di relazionarci con il resto delle persone.
Il fatto che tutto questo sia frutto di esperienze apprese, però, ci dà speranza: ciò che è appreso si può disapprendere a favore di comportamenti più funzionali.
La psicoterapia, in particolare quella a indirizzo cognitivo-comportamentale, è una risorsa importante per affrontare la sofferenza che deriva da un comportamento anassertivo.
Esistono veri e propri training di assertività che vengono fatti generalmente in un setting di gruppo. Ma si affrontano temi relativi all’assertività molto spesso anche in terapia individuale, sebbene in maniera meno strutturata.
Per esempio, io spesso utilizzo delle metafore per fare psicoeducazione sul comportamento anassertivo; la mia preferita è quella dell’effetto pentola a pressione: la persona che mette in atto un comportamento passivo-aggressivo è come una pentola a pressione alla quale non funziona bene lo sfiato del vapore, se il vapore non fuoriesce costantemente e nella giusta quantità rischia di accumularsi all’interno (proprio come la frustrazione nel non far uscire ciò che pensiamo) e il rischio che la pentola scoppi, magari nel momento meno opportuno, è elevato.
Concludo con un’altra cosa che trovo molto utile e sulla quale invito le persone a fare esercizio: usare il dialogo io e non tu. La differenza sta nel modo in cui comunichiamo un concetto e nelle parole che usiamo, ecco due esempi:
- Dialogo TU (accusatorio): “tu mi fai stare male!”
- Dialogo IO (assertivo): “quando ti comporti così io mi sento…”
Qual è il punto qui? Nel primo caso questo tipo di comunicazione potrebbe alimentare un’escalation di discussione perché l’altra persona, sentendosi accusata, potrebbe sentirsi autorizzata a contrattaccare e, inoltre, non comunica nulla dei propri sentimenti; nel secondo caso, intanto differenzio il comportamento dalla persona e poi comunico ciò che mi accade in relazione a quel comportamento. Tante più informazioni in poche parole!
Fulvia: Ecco, a questo proposito, è corretto dire che noi tutti abbiamo dei filtri cognitivi, che influenzano le nostre percezioni e quindi le nostre azioni? Richiamo qui alcuni dei più noti:
- La distorsione, cioè, il processo di attribuzione di significato alle cose. Per esempio, pensare “Il cliente non mi risponde, quindi non gli importa del mio lavoro” corrisponde a una conclusione non verificata: una distorsione. Perché un ritardo non equivale a disinteresse. Un approccio assertivo per gestire questo pensiero può essere, ad esempio, scrivere al cliente dicendo: “Capisco che sei molto impegnato, ma per procedere col lavoro, mi servirebbe ricevere la tua risposta entro venerdì. Grazie!”
- La cancellazione, cioè, il processo di omissione di ciò che non si reputa importante. Per esempio, pensare “Il cliente non apprezza il mio lavoro” è un esempio di cancellazione perché manca del tutto l’informazione su ciò che non piace al cliente. Un approccio assertivo può essere quello di chiedere direttamente e in modo aperto: “Capisco che ci siano aspetti del mio lavoro che non sono stati all’altezza delle tue aspettative. Puoi indicarmi cosa esattamente non ti soddisfa: il contenuto, la forma, i tempi? Vorrei capire meglio per poter migliorare.”
- La generalizzazione, cioè, il raggruppamento in macro-gruppi. Pensare “Tutti i clienti chiedono sconti” o “Non ce la farò mai a farmi percepire come professionista valido” significa ignorare le eccezioni e le esperienze positive già vissute. Dirsi invece: “Alcuni clienti chiedono sconti, ma molti apprezzano valore e professionalità” o “Ho faticato a trasmettere la mia professionalità in alcuni casi, ma in altri sono riuscito a creare collaborazioni solide” aiuta a evitare di generalizzare.
Domande come “chi esattamente?”, “quando?”, “sempre?”, “cosa di preciso?”, aiutano a circoscrivere il problema e a individuare la causa del disagio. Sei d’accordo?
Alessia: Sì, è proprio così. Mettere a fuoco questi aspetti è molto utile, anche nel lavoro.
Fulvia: Confermo L’ho vissuto anch’io sulla mia pelle nella mia prima vita come export manager, quando dovevo gestire team, formare, colloquiare, assumere e licenziare persone, gestire situazioni spinose e clienti problematici. Erano contesti difficili e ho proprio sentito il bisogno di studiare e allenarmi sul campo per avere degli strumenti che mi aiutassero a vivere il lavoro molto meglio. Gli stessi strumenti, poi, li ho portati con me nella mia seconda vita come business coach, per aiutare le persone nel cambiamento e nell’evoluzione della propria attività o della propria carriera. Perché è un tema molto ricorrente e che ritrovo quasi sempre nei percorsi di mentoring e di gruppo che tengo. Ma la buona notizia è che, come tutte le abilità, anche l’assertività si può allenare e può dare risultati sorprendenti.
Alessia: Certo, anche l’assertività può essere allenata!
Fulvia: Di solito, per iniziare ad allenarsi, lascio questi consigli:
- Impara ad ascoltare attivamente e con fiducia, senza preconcetti o sovrastrutture mentali (potresti accorgerti che la persona dall’altra parte è molto migliore o più fragile di quello che avevi immaginato).
- Evita come la peste toni aggressivi o vittimistici, frasi di accusa o giustificazione: sono due lati della stessa medaglia (e poi, diciamocelo, sono poco eleganti).
- Abituati a spiegare le tue idee e le tue emozioni, con equilibrio, fermezza e rispetto.
- Di’ sì o no in coerenza con i tuoi valori e le tue esigenze, senza timore di critiche o recriminazioni.
Perché se ti alleni a esprimerti in modo diretto e chiaro, gli altri accetteranno i tuoi bisogni e il tuo punto di vista. E se poi non lo faranno? È un problema loro. E questo, diciamocelo, spaventa un po’, soprattutto chi teme di non valere abbastanza.
Alessia: È così, la paura del giudizio altrui porta con sé anche questo tipo di riflessione.
Comunicazione efficace, sindrome dell’impostore ed effetto Dunning-Kruger
Fulvia: La paura di non valere abbastanza è uno dei problemi – io li chiamo bucce di banana – che si nascondono spesso nelle persone che faticano a comunicare i propri bisogni con fermezza: se non riconosciamo il nostro valore, sarà più difficile tenere i nervi saldi in un confronto con chi si mostra più sicuro di noi.
Nel mio lavoro, ho incontrato moltissimə professionstə di talento con un vissuto comune: la sensazione di non essere abbastanza e quindi di non poter alzare l’asticella del proprio business. Per esempio, farsi pagare di più, non cedere alle richieste eccessive, prendere lavori non allineati o dire di sì a clienti prepotenti. Eppure, nonostante le loro competenze – visibili a chiunque – sono persone che credono che tutto ciò che hanno ottenuto sia arrivato per puro caso o per merito degli altri. Anche questo ha molto a che vedere con la comunicazione efficace. Sei d’accordo?
Alessia: Sì, certo. Lo scenario che hai rappresentato rientra nella cosiddetta sindrome dell’impostore.
Fulvia: Cosa si intende con questo termine e cosa la innesca?
Alessia: Parto subito con lo specificare che non si tratta di una condizione psicopatologica, come si potrebbe pensare vista la definizione di sindrome, piuttosto parliamo di uno stato mentale nel quale la persona che lo sperimenta si sente una truffatrice, pensa di aver imbrogliato e dubita dei propri successi nonostante l’evidenza del contrario.
Ciò che caratterizza il pensiero delle persone che sperimentano questo stato è la tendenza ad attribuire i propri successi a fattori esterni (la fortuna, la tempistica giusta, ecc.) piuttosto che interni (le proprie capacità e competenze).
La sindrome dell’impostore è dunque un mix di senso di colpa per i traguardi raggiunti, mancata introiezione del successo, paura della valutazione e sentimenti di indegnità e inefficienza professionale e formativa.
La prima ricercatrice a parlare di questo fenomeno è stata Pauline Clance (1978) che ha identificato il fenomeno in un gruppo di donne di successo, le quali non si sentivano meritevoli del prestigioso ruolo ricoperto. Se è vero che nei primi studi la popolazione che ne soffriva era soprattutto femminile, ora colpisce una vasta fetta di popolazione senza distinzione di genere, in particolare però persone colte e istruite che ricoprono ruoli importanti in diversi settori.
Un fenomeno interessante e diametralmente opposto, invece, è l’effetto Dunning-Kruger, per cui molte persone tendono a sovrastimare le proprie conoscenze, nonostante queste siano davvero molto limitate. Il nome deriva dai ricercatori che per primi lo hanno studiato e che hanno evidenziato come esso derivi dalla stessa incompetenza dei soggetti: quanto più una persona è incompetente su un tema, tanto più non è in grado di padroneggiare quelle strategie metacognitive che permetterebbero una maggiore consapevolezza dei propri limiti.
Interessante no? Due fenomeni opposti che però in qualche modo si intrecciano, perché sembra proprio che la presenza di sindrome dell’impostore non permetta all’effetto Dunnig-Kruger di ridimensionarsi!
Per quanto riguarda le cause della sindrome dell’impostore, sono molteplici e legate a fattori psicologici, sociali e familiari. Partendo dalle ultime, direi che un ambiente familiare caratterizzato da standard elevati, forte criticismo, ipercontrollo e scarso supporto emotivo risulta essere quello più a rischio. Poi ci sono fattori psicologici individuali come bassa autostima, tendenza al perfezionismo e allo sperimentare soprattutto emozioni spiacevoli.
Infine, anche la società ci mette lo zampino: un ambiente sociale come il nostro, fortemente orientato al successo e alla performance, dove il confronto sociale è all’ordine del giorno (anche attraverso i social, ahimè) e ancora molto condizionato da stereotipi e discriminazioni offre sicuramente linfa vitale a questo fenomeno.
Fulvia: È un atteggiamento che incide direttamente anche sul business. Perché, se non sei consapevole delle abilità che hai maturato attraverso le tue esperienze, cadi nella convinzione di non essere mai sufficientemente preparatƏ per accettare un incarico o per farti pagare meglio per un tuo prodotto o servizio. E quindi anche a comunicarlo in una negoziazione.
Perché la comunicazione efficace fa bene al tuo business, se sei freelance?
Fulvia: Quando riusciamo a esprimerci in modo equilibrato e chiaro, a far valere il nostro punto di vista e i nostri bisogni, nel rispetto delle esigenze e dei diritti degli altri, possiamo vivere e lavorare meglio. È un atteggiamento, un comportamento – un modo di essere – che ci facilita le azioni e le relazioni.
Spesso, aiuto le persone a prepararsi per gestire quelle situazioni spinose sul lavoro, in cui, per esempio, non sanno come fare una richiesta o far valere un proprio bisogno. In quei casi dico loro di ripensare a quelle volte che si sono sentite forti per come hanno gestito bene una negoziazione o una richiesta inopportuna. Sottolineo i risultati ottenuti: c’è chi non ha ceduto a una richiesta di sconto, chi ha affrontato un ricatto e ne è uscitƏ a testa alta. Perché nel business i benefici della comunicazione efficace sono diversi:
- ricevi rispetto da parte degli altri (non ti fai mettere nell’angolo) e migliori la tua reputazione come professionista affidabile e credibile
- eviti di dipendere dal giudizio o dalle scelte degli altri (ti assumi la responsabilità del tuo business e dei risultati che ottieni)
- sviluppi maggiore forza, autonomia e soddisfazione, sia a livello personale che lavorativo
- aumenti la tua autostima e l’autoefficacia e agisci in modo concreto e più strategico
- migliori le tue capacità di comunicazione e di negoziazione
- costruisci relazioni solide e sincere con clienti e partner, dai fiducia e ottieni fiducia (che poi è alla base di un networking che funziona)
E, alla fine, questo approccio ti aiuta ad avere più autostima, a dirti “BravƏ, hai gestito proprio bene la situazione!” A darti quella pacca sulla spalla che ti serviva per portare avanti il tuo business. Potremmo dire che, in definitiva, la comunicazione efficace aiuta anche al di fuori del lavoro?
Alessia: Sì, certamente, la comunicazione efficace è alla base di relazioni soddisfacenti in ogni ambito di vita. Pensiamo a quanti malintesi e sofferenze nascono da un modo disfunzionale di comunicare in famiglia, nelle coppie e nei gruppi sociali. Anche di questo parliamo spesso in psicoterapia, in alcuni casi facendo degli incontri di skill training dove attraverso role playing aiutiamo le persone a costruire capacità comunicative più efficaci.
Fulvia: Lavorare bene su assertività e comunicazione efficace è molto importante anche per un altro aspetto fondamentale della vita di unə freelance: il personal branding, che però, spesso si scontra con la paura di comunicare sui social.
Fulvia: I social possono essere una palestra potente per allenare assertività e comunicazione efficace, ma sono anche terreno fertile per ansie, insicurezze e auto-censura. I social possono essere utilizzati come palestra per l’assertività e la comunicazione efficace, secondo te?
Alessia: I social sono uno spazio importante per esprimersi, ma accrescono anche il timore del giudizio, l’autocritica e il senso di vulnerabilità. La visibilità pubblica, le reazioni e il confronto costante possono accentuare l’ansia sociale. Anche una mancata risposta può essere interpretata come rifiuto. Questa pressione spesso blocca. Inoltre, molti freelance esitano a pubblicare per timore di sbagliare o apparire inadatti, in alcuni casi anche ridicoli. La pressione a “esserci sempre” crea ansia e rafforza il confronto. Senza contare che il distacco fisico e l’anonimato possono favorire toni aggressivi o sarcastici da parte di alcuni utenti, che possono avere un impatto importante su chi li riceve. Quindi, sì, i social possono essere l’occasione per allenarsi a rispondere, ma prima serve una preparazione ed eventualmente un supporto psicologico per lavorare sui fattori alla base del disagio del singolo.
Fulvia: Grazie Alessia, per la chiarezza e la completezza. Direi allora di concludere la nostra chiacchierata, dando qualche consiglio pratico per lavorare su assertività e comunicazione efficace.
Tecniche, esercizi ed esempi per migliorare assertività e comunicazione efficace
Comunicazione efficace e assertività si possono allenare. Qui di seguito trovi alcune tecniche che Alessia ed io abbiamo raccolto per aiutarti a migliorarle, come persona e nel business (esattamente in questo ordine). Trovi anche degli esercizi e degli esempi per prepararti a gestire un confronto che temi o una richiesta che ti fa provare rabbia.
Ma ricorda che, se senti di avere bisogno di un aiuto per capire da dove nasce il tuo timore nel gestire i conflitti o, al contrario, la tua tendenza a importi, è consigliabile fare chiarezza con unə professionista della salute mentale come Alessia.
Dove si nasconde (davvero) il problema? Le domande per fare auto-valutazione
Per capire cosa ti impedisce di comunicare efficacemente, prova a chiederti:
- Qual è la situazione che voglio cambiare, esattamente?
- Qual è il pensiero che innesca quel mio filtro?
- Qual è il vantaggio di scardinarlo: cosa ci guadagno?
- Cosa sono dispostə a lasciare andare?
Preparati al confronto con il metodo ladder (scala)
Preparati al confronto o alla negoziazione con il metodo ladder (in italiano, scala):
- L come LOOK – Guarda ai tuoi bisogni e diritti, diventane consapevole
- A come ARRANGE – Organizza un confronto con l’altra persona per discutere a proposito di quella specifica situazione
- D come DEFINE – Definisci il problema in modo molto specifico
- D come DESCRIBE – Descrivi in modo chiaro i tuoi sentimenti, in prima persona, nella modalità “messaggio Io”
- E come EXPRESS – Esprimi ciò che desideri in modo diretto e conciso
- R come REINFORCE – Rinforza l’altra persona evidenziando il vantaggio (reciproco) nell’adottare l’opzione che hai proposto
Esercita l’ascolto attivo
Durante una conversazione, ripetere con parole tue ciò che l’altro ha detto ti aiuta ad accertarti di aver capito bene il suo messaggio e a individuare subito le incomprensioni. Per esempio, se durante una call o un incontro, un potenziale cliente ti dice “Penso che il sito che hai realizzato per me manchi di coerenza visiva e il messaggio è poco chiaro.” prova a ripetere con parole tue il suo messaggio: “Se ho capito bene, la tua impressione è che il design non comunichi l’identità del tuo brand e che il testo non sia abbastanza diretto, giusto? Vuoi che rivediamo il layout e i contenuti per renderli più coerenti?”
Preparati a ricevere feedback negativi e a rispondere con assertività
Quando ricevi un feedback negativo da un cliente o da un fornitore, anziché metterti sulla difensiva, cerca di capire cosa non è andato come previsto e cosa migliorare. Per esempio, se ti dicono che una consegna è in ritardo, chiedi scusa, analizza la causa del ritardo e proponi subito una soluzione.
Il feedback, anche se critico, è un’opportunità di crescita. Imparare a riceverlo senza prenderlo sul personale ti aiuta a sviluppare una mentalità di miglioramento continuo.
Preparati a gestire le obiezioni
Se un cliente solleva un’obiezione – ad esempio, sul prezzo -, ascolta il suo punto di vista, riconosci la sua preoccupazione e proponi delle alternative che possano soddisfare entrambe le parti (non solo il cliente). Se non è possibile trovare un punto di incontro, probabilmente quello non è il cliente per te.
Le obiezioni sono segnali di interesse. Gestirle con calma e apertura ti permette di trasformare una potenziale barriera in un’opportunità di dialogo.
Dopo la call: fai autoanalisi
Se hai la possibilità di registrare una call, fallo. Poi riascoltati e osservati per capire se salti dei passaggi, esiti sulle domande o parli troppo velocemente. È un esercizio che ti aiuta a essere consapevole dei tuoi automatismi comunicativi e quindi a correggerli.
Sostituisci il linguaggio negativo con quello positivo
Se un cliente ti dice che non può permettersi il tuo servizio, invece di rispondere “Se non puoi pagare di più, non posso aiutarti” usa una forma più vicina a lui “Capisco che il budget sia limitato. Possiamo trovare insieme un’alternativa che rientri nei tuoi vincoli, mantenendo la qualità?”
Il linguaggio positivo rimodella la percezione interna e appiana le cose. Pensaci. Sentirsi dire “Non posso farlo” e “Vorrei trovare insieme a te una soluzione valida per entrambi” cambia completamente lo scenario.
Tecnica per allenare l’assertività: il punto fermo
L’emozione è qualcosa che si prova, non qualcosa che si è. Per evitare di rimuginare troppo, stai nel presente e impara a gestire in equilibrio emozioni e pensiero, senza enfatizzare le tue sensazioni né giudicare le tue emozioni. Puoi fare così:
Chiediti “Come mi fa sentire questa situazione?”
Te lo dici e PUNTO. Finisce lì.
Chiediti: “Per quando mi serve questa informazione/risposta?”
Ti annoti la scadenza e PUNTO.
Tecnica per allenare l’assertività: auto accettazione
Riconosci il tuo valore, ancora meglio, esercitati nel riconoscere e celebrare i tuoi pregi, capacità e successi. Quindi, accetta di buon grado i complimenti che ti vengono rivolti. Di fronte a un elogio ti senti a disagio? Non minimizzare, non rimuginare: accetta con un “grazie” netto: “Grazie, mi fa piacere. Grazie, lo apprezzo.”
Tecnica per allenare l’assertività: sposta il focus sul “messaggio Io”
Esprimi i tuoi bisogni, i tuoi desideri, le tue aspettative anziché accusare l’altro. “Io sento” piuttosto che “Tu sei” (Thomas Gordon).
Il “messaggio Io” circoscrive la lamentela a un comportamento molto preciso, non dà un giudizio sulla persona e soprattutto esprime l’emozione di chi parla: la conseguenza che il comportamento dell’altro ha su di te.
Prova a dire:
Quando succede questo…
Io mi sento così…
Perché è importante per me…
Quello che vorrei è…
Tecnica per allenare l’assertività: respons-abilità
Responsabilità significa letteralmente l’abilità nel darci delle risposte su chi siamo e su quali sono le nostre intenzioni. Se io sono responsabile, so bene cosa voglio e come voglio fare le cose. Quindi ho le redini della mia vita e so che nel mio lavoro non dipendo dalla valutazione, dal giudizio o dalle scelte degli altri.
L’assertività – e di conseguenza la comunicazione efficace – implica anche avere chiaro quali sono le tue intenzioni, i tuoi comportamenti, i pensieri, i sentimenti e i confini (puoi dire di no!). Non evitare discussioni o conflitti. Non litigare, né fuggire. Entrambi sono tentativi di chiudere in fretta il dialogo.
Ricorda che puoi controllare solo te e il tuo comportamento.
Per esercitarti, non tirarti indietro. In un confronto, sostieni con decisione la tua posizione argomentando e lasciando agli altri il loro spazio.
Tecnica per allenare l’assertività: dare feedback “a panino”
Devi muovere un appunto a un collaboratore, cliente o un fornitore? È importante saper dare un feedback negativo trasformandolo, per chi lo riceve, in una opportunità di miglioramento.
Prepara uno script per punti:
- prima una cosa positiva per chi lo riceve (il pane)
- poi il tuo parere/consiglio sulla cosa da correggere/migliorare (ciccia)
- chiudi con un aspetto positivo che valorizza chi ti parla e mostra il vantaggio delle conseguenze di un cambiamento (di nuovo pane)
Continua a sviluppare l’assertività: prendi esempio o ispirazione
Nella tua cerchia di conoscenze – o pensando a personaggi pubblici che ammiri – ci sono persone che reputi assertive, di cui apprezzi l’approccio o la comunicazione?
- Pensa e scrivi 4/5 nomi di persone assertive
- Per ciascuna chiediti perché credi che sia assertiva
- In cosa è efficace? Scrivi esempi concreti
- In che modo puoi utilizzare la sua modalità?
Ecco, nel mio caso, questa persona è Gianrico Carofiglio. Mi ha insegnato tantissimo nei suoi interventi e nei suoi libri. Perché gestisce sempre le cose con educazione e con rispetto, ma in maniera chirurgica. Non lascia mai cadere l’argomento, però è sempre educato e puntuale.
E infatti, nella lista di letture per approfondire, che Alessia ed io abbiamo preparato per te, trovi proprio come primo suggerimento, uno dei libri di Carofiglio.
Consigli di lettura: libri per lavorare sulla comunicazione efficace e l’assertività
Se stai cercando qualche libro da leggere per lavorare sulla comunicazione efficace e l’assertività, ecco i miei consigli di lettura e quelli di Alessia:
Consigli di Fulvia
- Elogio dell’ignoranza e dell’errore, di Gianrico Carofiglio, edito da Einaudi
- Triggers. Innescare il cambiamento interiore. Diventate la persona che volete essere, di Marshall Goldsmith e Mark Reiter, edito da Franco Angeli
- Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta, di Bertram Rosenberg Marshall, edito da Esserci
- Cambia la tua vita con la TCC, di Corinne Sweet, edito da Vallardi
- The long game, guardare lontano in un mondo a breve termine, di Dorie Clark, edito da Ayros
- Piccolo manuale per persone vulnerabili, costruirsi una corazza personale e non perdere la serenità, di Barbara Berckhan, edito da Feltrinelli
Consigli di Alessia
Libri per professionisti
- Manuale di assertività. Teoria e pratica delle abilità relazionali: alla scoperta di sé e degli altri di Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy, edito da Franco Angeli (2016)
- Assertività e training assertivo. Teoria e pratica per migliorare le capacità relazionali dei pazienti di Francesca Baggio, edito da Franco Angeli (2016)
- Training di comunicazione assertiva. Conoscere, valutare e potenziare comunicazione e relazioni interpersonali di Ezio e Francesco Sanavio, edito da. Erickson (2023)
Libri per tutti e tutte
- Mi vado bene? Autostima e assertività di Michele Giannantonio, edito da Erickson (2009)
- Puoi anche dire no! L’assertività al femminile di Beatrice Bauer, Gabriella Bagnato, Mariarosa Ventura, edito da Baldini e Castoldi, 2002
- L’autostima. Alta o bassa, stabile o fluttuante, autentica o illusoria di Maria Miceli, edito da Il Mulino (2016)
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