Il desiderio di fatturare di più fa parte del pacchetto di chi sceglie di lavorare in proprio. È quella fame che ti spinge a buttarti pur di guadagnare, perché le bollette non si pagano da sole e gli F24 arrivano puntuali ogni anno. È la paura che ti fa dire di sì, anche quando vorresti dire di no, perché potresti perdere un’occasione di guadagno. Come fatturare di più è anche uno dei motivi che spesso porta freelance e liberə professionistə a intraprendere un percorso di business coaching con l’obiettivo di rivedere il proprio posizionamento sul mercato.

È un tarlo comune a tuttə noi: freelance alle prime armi ed espertə. Insomma, è un’esigenza che non passa mai, ma che cambia forma, in base allo stadio del business e della consapevolezza dellə freelance. In questo articolo ragiono insieme a te sui motivi che possono portarti a desiderare un aumento di fatturato e ti propongo strategie pratiche e sostenibili per sbloccare la crescita del tuo business.

Dal fatturare pur di sopravvivere al fatturare di più per crescere

C’è un momento nella vita di unə freelance che segna il passaggio dalla modalità sopravvivenza – prendo tutto quello che mi capita perché devo assolutamente fatturare – al chiedersi come aumentare il fatturato senza andare in burnout.

Nella fase di sopravvivenza, gli sforzi sono concentrati nel fare, fare, fare, pur di guadagnare, anche poco, per poter vivere e sì, anche per legittimare la propria scelta di diventare freelance. Perché moltə di noi hanno sentito – e sentono ancora – quella vocina che dice: “Chi te l’ha fatto fare? Non era meglio un lavoro da dipendente?” oppure “Ma lavori davvero o passi tutto il tempo sui social?”
Questa fase dura qualche anno e di solito coincide con l’avvio dell’attività in proprio.

Col tempo, una volta raggiunta una certa stabilità nel fatturato e negli incarichi, qualcosa cambia:

  • la conferma che il lavoro scelto può essere remunerativo (penso soprattutto a freelance creativə che spesso temono di non riuscire a guadagnare dal loro talento)
  • il desiderio di superare quella soglia di fatturato che, bene o male, si riesce a portare a casa, ma che è troppo bassa per essere davvero soddisfacente
  • la necessità fisica e psicologica di fatturare di più senza dover sacrificare per il lavoro un’altra nottata, un altro week end, l’ennesimo aperitivo con le amiche o il saggio finale di un figlio

Infatti, spesso succede che, pur di fatturare di più, moltə si ritrovino a lavorare 7 giorni su 7 e a sacrificare loro stessə e i propri cari. Ed è lì che l’attività freelance smette di essere un modo per autorealizzarsi nella vita e nel lavoro, ma diventa una gabbia da cui, sotto sotto, si desidera fuggire. A quel punto, di solito, succedono due cose: o si cambia strada cercando, per esempio, un lavoro da dipendente, o si guarda alla propria attività per quello che è davvero, cioè, un business di cui prendersi cura e in cui investire.

Tu in quale fase ti trovi?
Sei all’inizio e lotti ogni giorno per fatturare o sei freelance da tempo e vuoi crescere?
In entrambi i casi, per migliorare le cose, la strada del cambiamento parte dal mindset.

Sinceramente non credo che si possa essere freelance e fatturare bene, lavorando solo poche ore al giorno e aspettando che i progetti arrivino da soli. Sono autonoma da un decennio e i guadagni migliori li ho ottenuti negli anni in cui ho lavorato di più, sia con i miei clienti che sul mio business. Però penso anche che si possa fare molto per fatturare meglio, senza sacrificare la propria vita privata e senza svilire il proprio valore.

Non basta lavorare di più per guadagnare di più

L’equazione più ore = più fatturato è un’arma a doppio taglio. Perché non tiene conto della sostenibilità nel lungo periodo, della qualità del lavoro – più stanchezza = più errori e meno creatività – e dell’efficienza del tuo business.

Immagina di investire molte ore su diversi clienti una tantum e con budget limitati: la sensazione è di lavorare molto, ma la verità è che sei poco produttivə. La produttività, infatti, è la capacità di ottenere più risultati con meno sforzi o risorse: nel caso di unə freelance, per esempio, può voler dire impiegare le stesse ore, per guadagnare di più. E poi c’è un altro aspetto, più subdolo: ti fa sentire occupatə.

Occupare ore è rassicurante. Mette a tacere la voce che ti dice che non sei abbastanza, che il tuo lavoro serve a poco e devi dimostrare che non è così, che i tuoi familiari e amici, in fondo, non credono in te e tu devi giustificare la tua scelta anche ai loro occhi.

Ma ti impedisce di trovare lo spazio fisico e mentale per acquisire clienti continuativi e con budget più interessanti. Si chiama costo opportunità ed è quello che paghi senza saperlo, per il solo fatto di non aver colto un’occasione.

Perché la verità è che il tempo e le energie che metti sui lavori a basso valore non tornano indietro. All’inizio di un business, quando si è alle prime armi, può anche andare bene, per un po’… ma poi deve esserci un ritorno economico sufficiente da compensare lo sforzo.

Senza contare che competere al ribasso – “Chiedo poco, perché così ho più possibilità di prendere il cliente” – alla lunga, diventa un cane che si morde la coda: lavori molte ore, fatturi poco, le energie calano, la motivazione anche e le occasioni per prendere in mano le redini della tua attività si riducono drasticamente.

Scegliere come usare le ore che hai a disposizione, invece, ti aiuta a indirizzare le forze dove serve, cioè, verso il lavoro per i tuoi clienti e soprattutto verso il lavoro per il tuo business:

  • migliorare i tuoi servizi
  • crearne di nuovi
  • perfezionare i processi
  • formarti per acquisire nuove competenze
  • fare networking efficace per coltivare relazioni e collaborazioni
  • lavorare sul tuo personal branding per distinguerti chiaramente dagli altri freelance e sì, anche per farti pagare di più 😉

In ogni caso, il punto di partenza è sempre uno: iniziare da te, da dove sei oggi e da dove vuoi arrivare. Capire cosa vuoi per te, per la tua attività e per tutto quello che vi ruota intorno, ti aiuta a intraprendere un percorso di crescita sostenibile.

Non sei un’azienda con dipendenti e uffici,
sei unə solopreneur in cui business e persona coincidono.

Cosa fare per incrementare il tuo fatturato da freelance in modo sostenibile

Per prima cosa, ti consiglio di analizzare i numeri del tuo business perché, per aumentare il fatturato, devi sapere da dove parti e dove puoi arrivare. Ecco le domande e i passaggi che ti aiutano a fare chiarezza.

1 – Analizza i numeri del tuo business

  • Quante ore lavori in una settimana o in un mese?
  • Quante di queste sono dedicate al lavoro produttivo e non a sentirti solo occupatə?
  • Quante ore dedichi a ogni cliente? Per saperlo, puoi usare uno dei tanti strumenti di time tracking che trovi online, per esempio, Toggl Track.
  • Prendi il fatturato dell’ultimo anno: quanto hai fatturato in media ogni mese?
  • E quanto hai guadagnato in media ogni mese? Il guadagno, infatti, non coincide con il fatturato. Lo calcoli sottraendo dal lordo spese e tasse. Dato che molto dipende dal tuo regime fiscale e dal tipo di attività che svolgi, ti consiglio di tenere un file delle spese e, se serve, farti aiutare da unə commercialista di cui ti fidi per calcolare il tuo guadagno effettivo.
  • Quanti servizi hai?
  • Quali sono i servizi che generano più fatturato?
  • Quali generano poco fatturato o non ne generano affatto?
  • Quante volte riacquista ogni cliente nell’arco di un anno: una tantum, più volte, progetto semestrale o annuale?
  • Qual è il customer lifetime value di ogni cliente? Il customer lifetime value è il valore che ti porta ogni cliente nel tempo, cioè quanto fatturato ti genera, per esempio, nell’arco di 1 anno. Analizza il contributo di ogni cliente al tuo fatturato, poi mettilo in relazione con il tempo e le eventuali spese che sostieni per servirlo (ad esempio, le trasferte).
    Già a prima vista, questa analisi potrebbe farti scoprire che, per esempio, un cliente che contribuisce al 20% del tuo fatturato, assorbe il 40% del tuo monte ore. È evidente che questa collaborazione ti sta portando poco valore. Non è detto che tu debba lasciare il cliente – magari è storico e torna da te ogni anno – ma potresti cercare di aumentare il fatturato che ti porta o ridurre il tempo da dedicargli, con le strategie che ti presenterò tra poco.
  • Dividi i tuoi clienti in gruppi: da una parte, inserisci i clienti profittevoli rispetto allo sforzo impiegato, dall’altra, invece, i clienti che ti costano più fatica rispetto ai guadagni.

Chiarire questi aspetti ti aiuta a capire in quali aree del tuo business migliorare e se:

  • Passi troppo tempo su progetti poco redditizi
  • I tuoi prezzi sono troppo bassi per lo sforzo richiesto
  • La tua offerta è chiara o proponi servizi che nessuno compra

2 – Fissa i tuoi obiettivi e le tue priorità

  • Quanto vuoi guadagnare ogni mese per sentirti soddisfattə?
  • Quante ore vuoi lavorare alla settimana?
  • Quali clienti e progetti ti danno più soddisfazione, sia personale che professionale?
  • Quali clienti ti fanno venire il mal di pancia? Indizio: di solito, sono quelli che ti contattano a tutte le ore, non rispettano i tuoi confini e le tue procedure, trattano sul prezzo, vogliono fare sempre di testa loro…
  • Quali progetti ti fanno venire il mal di pancia? Indizio: sono quelli che senti lontani da te, che non contribuiscono a far fiorire il tuo business, spesso sono i progetti di altrə che non senti tuoi.

3 – Scegli con quali clienti lavorare

Ora che hai messo nero su bianco numeri e obiettivi, chiediti:

  • Quali clienti voglio avere oggi e in futuro?
  • Quali clienti voglio lasciare andare?
  • Con quali clienti voglio continuare a lavorare rivedendo i termini della collaborazione, per esempio, rimodulando il servizio, perché sia meno oneroso in termini di tempo, oppure, proponendo un aumento dei prezzi? Cambiamento che fa paura, lo so, ma è fattibile e fra poco ci arriviamo. 😉

Nelle tue valutazioni, potresti accorgerti che forse è arrivato il momento di definire o rivedere il tuo modello di business da freelance. In generale, però, ti consiglio di mettere a fuoco i tuoi clienti ideali, cioè quelli con cui ti trovi in sintonia, che apprezzano ciò che fai e il valore del tuo lavoro, ti stimano come professionista e si fidano di te. Partire da loro ti aiuterà a indirizzare meglio le tue scelte di business.

A questo proposito, potrebbe interessarti leggere anche come avere più clienti se sei freelance o liberə professionista.

3.4 – Strategie per aumentare il fatturato

Ora che hai messo nero su bianco numeri e obiettivi, puoi rivedere la tua offerta, le tue procedure e l’ottimizzazione di tempi e costi, perché spesso il problema si annida anche lì.

Punta sul valore percepito, non solo sul tempo che ci metti

Perché il tempo è importante per te, ma ai tuoi clienti interessa sapere come cambieranno in meglio la loro vita e il loro lavoro grazie ai tuoi servizi. Per loro conta il risultato, non il processo: più tempo a disposizione per prendersi cura di sé o stare in famiglia, meno stress, più visite al sito web, più autorevolezza, più contatti dai social, meno clienti fuori target…

Cosa interessa ai tuoi clienti? E quale valore dai loro?
Se fatichi a metterlo a fuoco o se sai qual è questo valore, ma non riesci a comunicarlo, c’è Scenario. Oppure potrebbe interessarti Scopri il tuo brand, il percorso di business coaching di gruppo che parte una volta all’anno e ti aiuta a mettere a fuoco i perché del tuo brand da freelance e a mostrarli al mondo.

Lavora sul tuo personal branding e sulla tua comunicazione

Sto per dirti una cosa che a moltə freelance suona indigesta e anche un po’ antipatica: gestire la presenza sui social e la propria comunicazione è un’attività fondamentale per unə freelance, perché aumenta il suo valore percepito. Neanche io sono una fan sfegatata dei social, quindi so bene come ti senti, ma riconosco il loro valore per chi ha un’attività da solopreneur.

Tu compreresti un prodotto di fascia alta da un negozio senza insegna, senza vetrina, senza sito e con la saracinesca chiusa? Ecco.

Anche se la prospettiva non ti piace, anche se sentirtelo dire ti fa alzare gli occhi al cielo, curare e potenziare il personal branding fa parte del pacchetto business in proprio. Si può perfezionare, si può delegare, in parte, ma serve. E se vuoi aumentare il tuo fatturato è indispensabile.

Alza i prezzi preparando il terreno, per evitare di perdere clienti

Alzare le tue tariffe dall’oggi al domani può essere rischioso. I clienti fedeli potrebbero sentirsi traditi e alcuni potrebbero decidere di lasciarti. Prima di comunicare l’aumento, è importante preparare il terreno, puntando sulla percezione del valore dei tuoi servizi e di te come professionista:

  • Raccogli testimonianze, casi studio, dati quantitativi, chiarisci bene in che modo migliori la vita e il lavoro di chi si affida a te e poi pubblicali sul tuo sito, sui social e inseriscili anche nei tuoi preventivi.
  • Rivedi la tua offerta identificando le parti dei tuoi servizi che puoi arricchire, così, oltre al pacchetto base, puoi proporre versioni “premium” con caratteristiche extra (up-selling). Per esempio, se sei unə copywriter, puoi prevedere un pacchetto base di sola redazione dei testi e servizi extra come: analisi parole chiave, caricamento dei testi sul blog, ricerca immagini. Se sei unə graficə, puoi proporre il servizio base di creazione del logo con 2 sole revisioni, mentre gli extra possono essere: logo+guida all’uso, immagine coordinata completa, mockup. E così via.
  • Individua i servizi complementari al servizio principale (cross-selling) e proponi dei pacchetti che li includono. Per esempio, se fai web design, potresti proporre un servizio di manutenzione annuale o una formazione per gestire i contenuti in autonomia.
  • Comunica il cambiamento con largo anticipo (30-60 giorni prima), spiegando chiaramente il valore aggiunto connesso con l’aumento di prezzo.
  • Rassicura i clienti storici con un trattamento speciale: mantieni la tariffa vecchia per un periodo di tempo limitato, proponendo un adeguamento ai nuovi prezzi in modo graduale. Nel frattempo, a chi decide di passare subito al nuovo tariffario, puoi proporre altri servizi o offerte speciali per compensare l’aumento (formazione gratuita, sconto sulla manutenzione, 2 call omaggio…).

Lavora per aumentare la frequenza di acquisto dei clienti che hai già

I clienti che si fidano di noi sono più disposti ad acquistare di quelli che non ci conoscono. Sono anche quelli più disposti a passare da un progetto una tantum 3 volte all’anno a una collaborazione continuativa. Dipende dal settore e dal singolo caso (esigenze, budget, obiettivi), ma anche questa è una strategia utile per aumentare il fatturato, migliorando ciò che c’è già: la relazione con i clienti fedeli e la tua utilità per loro.

Stringi partnership con altrə freelance

Estendere la rete di collaborazioni con altrə freelance complementari a te può aiutarti a:

  • trovare nuovi clienti
  • offrire a quelli che hai già un servizio più completo e interessante

È una formula win-win perché porta valore aggiunto sia a te che al team di freelance della tua rete.

Ottimizza i tempi, migliora i processi, delega il delegabile

Anche sprecare tempo è un costo che impatta sulle possibilità di aumentare il fatturato. Solo che è un costo che non vediamo.

Sarebbe utile poter ricevere una fattura a fine mese per ricordarci delle ore spese in attività non fatturabili e che non portano valore al nostro business. Sottolineo “che non portano valore al nostro business”, perché esistono attività non fatturabili, ma che di valore ne portano eccome.
Penso alla comunicazione (social, blog, newsletter…), se ce ne occupiamo noi direttamente.

Per aumentare il fatturato, serve anche una revisione dei tuoi processi, che ti aiuta a capire cosa puoi automatizzare e cosa puoi delegare ad altrə. Prova a fare così: per una settimana, fai una lista di tutte le tue attività lavorative e delle distrazioni. Poi considera solo le attività lavorative (progetti dei clienti, mail, fatturazione, creazione contenuti…) e chiediti:

  • Quante di queste sono ripetitive?
  • Quante delle attività ripetitive possono essere automatizzate con un tool, completamente o in parte? Penso, per esempio, ai template di risposta delle mail o alla gestione degli appuntamenti con i calendari digitali.
  • Quali attività potresti delegare a unə altrə freelance (social media manager, assistente virtuale, copywriter…)?

Per capire quali attività di scarso valore ti portano via più tempo e come gestire meglio le tue giornate, potresti rivolgerti a una Professional Organizer come Chiara Battaglioni o Loredana Fusco.

Per aumentare il fatturato devi anche essere prontə a negoziare e a saper dire di no

Gran parte di ciò che ho scritto fino a qui, puoi trovarlo anche altrove. Infatti, i consigli che ho raccolto per te sono buone pratiche del marketing e della vendita, che funzionano, se sei prontə a farle funzionare. Spesso, infatti, il motivo per cui non fatturiamo abbastanza è molto più profondo di un’offerta perfezionabile. Ha a che vedere con l’autostima e l’autoefficacia, con la capacità di comunicare con assertività, di mettersi in discussione, mostrarsi e negoziare.

Perché alcuni clienti potrebbero dirti che i tuoi prezzi sono troppo alti e che non possono sostenere l’investimento. La sindrome dell’impostore potrebbe spingerti a sabotare le tue azioni per rivedere la tua offerta e le tue tariffe al ribasso. La paura di vendere e di promuoverti potrebbe impedirti di agire.
All’aumento dei prezzi bisogna arrivare preparatə, anche e soprattutto con lo spirito.

Se in questo momento senti che il fatturato che stai raggiungendo non basta, ma non sai come cambiare le cose o se hai bisogno di ritrovare la spinta per rivedere il tuo business e mostrare il tuo valore, posso aiutarti. Nei miei percorsi di business coaching, individuali e di gruppo, aiuto freelance e professionistə come te a fare chiarezza e a capire quale direzione prendere per uscire dallo stallo che impedisce loro di essere felici, nella vita e nel lavoro.

Scrivimi a info@fulviasilvestri.it

È impossibile non comunicare, tanto vale farlo con intenzione ed efficacia, nella vita privata e nel business.

Sarà capitato anche a te di chiudere una telefonata o di uscire da una riunione col mal di pancia, perché la persona dall’altra parte ti ha messə con le spalle al muro. Oppure, al contrario, perché sei statə tu a prevaricare e quando l’adrenalina è scesa, hai provato rimorso e magari anche un po’ di vergogna per il tuo comportamento.
Quando la comunicazione fallisce, fallisce anche la relazione. E inevitabilmente ne escono tutti sconfitti.

Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.
Zygmunt Bauman

Comunicare efficacemente può essere difficile, anche se sei freelance

Spesso si pensa che aprire partita IVA e avere un proprio business liberi in automatico da tutti i problemi del lavoro dipendente: non c’è più un capo a controllarci, non ci sono i colleghi scaricabarile, non c’è più il cliente “dell’azienda” a cui non si può negare nulla… Poi, quando si diventa freelance, si scopre che, in realtà, c’è sempre qualcuno a cui dover rendere conto: il cliente, un partner, un socio, la propria famiglia. I motivi di contrasto (e di conflitto) restano e se non si lavora prima per imparare a gestirli, si finisce per pensare:

“Devo imparare a dire più no.”
“Non sopporto chi non vuole capire.”
Odio il conflitto, penso di non uscirne mai vincente…”,
“Sono gelosa degli altri colleghi.”
“Ho scarsa fiducia nel genere umano, vorrei mandare a quel paese tutto e tutti.”
Rimugino sugli errori fatti.”
“Le persone non mi considerano.”
“Non riesco a comunicare quello che voglio davvero e nel confronto soccombo…”

Ti ritrovi, almeno in parte, in queste affermazioni?

Sono alcune delle frasi che ho ascoltato in questi anni, nei miei percorsi di business coaching, da parte di chi lavora come dipendente e anche di chi è freelance, spesso da tempo. Hanno tutte un elemento in comune: lo scollamento tra ciò che la persona sente o desidera davvero e ciò che finisce per dire.

Moltə freelance e professionistə vivono con frustrazione, ansia e disagio il confronto con colleghi, clienti e fornitori. Nella maggior parte dei casi questo succede perché non hanno ancora lavorato su comunicazione efficace e assertività: due fra i temi a me più cari, perché hanno molto a che vedere con l’autostima, l’autoefficacia e quindi con l’autorealizzazione. Ma sono anche argomenti tipicamente appannaggio della psicoterapia. Quindi non ne parlerò da sola: questo, infatti, è un articolo intervista a quattro mani con la psicologa Alessia Minniti.

Insieme, vedremo cos’è la comunicazione efficace, perché non c’è comunicazione efficace senza assertività, quali tecniche utilizzare per metterla in pratica, ognuna di noi dal suo punto di vista: Alessia, in quanto psicoterapeuta ed io portando la mia esperienza di 30 anni nel mondo del lavoro, come export manager prima e business coach poi.

 

Fulvia: Partiamo con le presentazioni. Ciao Alessia, raccontaci chi sei e di cosa ti occupi.

Alessia: Ciao Fulvia, intanto grazie mille per questo invito, visto il tema dell’intervista diciamo che mi ha aiutato ad andare oltre la mia sindrome dell’impostore! Certe volte ci vuole proprio la spintarella… Io faccio la psicoterapeuta. Per tanti anni ho lavorato in una clinica universitaria, nello specifico occupandomi di obesità e disturbi dell’alimentazione, poi nel 2017 ho fatto il grande salto e ho deciso di licenziarmi per iniziare la libera professione e, contestualmente, accettare un incarico come docente presso una scuola di specializzazione post-universitaria che forma i futuri psicoterapeuti. Oltre a queste due attività, sono anche insegnante di mindfulness e conduco gruppi di riduzione dello stress e terapia cognitiva basata sulla mindfulness.

Fulvia: Nel tuo lavoro è frequente incontrare persone che hanno difficoltà a comunicare cosa sentono davvero. Immagino che, a volte, questo disagio possa nascere dalla mancanza di autostima. Quindi, inizierei la nostra intervista proprio da qui, cercando di capire cosa sono la comunicazione efficace e l’autostima.

Cos’è la comunicazione efficace?

Fulvia: La comunicazione efficace è uno strumento che ci permette di esprimere il nostro pensiero e le nostre opinioni con chiarezza, sincerità e decisione, nel rispetto del nostro interlocutore. Comunicare con educazione e con forza è una capacità che si può sviluppare col tempo. Alessia, secondo te, quali sono le condizioni per poter comunicare efficacemente o comunque per provare a dire ciò che per noi è importante, senza soccombere o senza aggredire l’altro?

Alessia: Prima di tutto dobbiamo cercare di ascoltare davvero chi ci parla e guardare oltre ciò che ci viene detto a parole, cogliere sottintesi e “non detti”, osservando il linguaggio del corpo, il tono della voce, lo sguardo dell’altro. Dobbiamo cercare di andare oltre la comunicazione verbale e analizzare anche il para-verbale, metterci in ascolto sincero e il più possibile senza pregiudizi, per poi presentare il nostro punto di vista con equilibrio e fermezza, rispettando il nostro interlocutore. Perché, come giustamente dici tu, comunicare efficacemente vuol dire non cedere e non prevaricare.

Cosa si intende per autostima?

Fulvia: Per non cedere e non prevaricare, è utile aver lavorato sulla propria autostima. Puoi aiutarmi a darne una definizione?

Alessia: Possiamo definire in maniera concisa l’autostima come l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di sé stesso. William James, il padre della psicologia moderna statunitense, la concepisce come “il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi”. In questa definizione, quindi, alcuni concetti importanti sono le credenze che abbiamo su di noi e i nostri scopi.

Le credenze, ciò che pensiamo di noi, possono essere neutre, cioè puramente descrittive (“sono sposata e vivo a Verona”) e valutative (“sono una buona amica”, “sono una cuoca mediocre”). Il confine tra questi due tipi di credenza non è così netto, diciamo che quando è presente uno scopo per il quale quella caratteristica svolge un ruolo di potere (per esempio, essere intelligenti implica avere potere rispetto allo scopo di risolvere problemi), cioè diventa un mezzo utile per raggiungerlo, la credenza perde la neutralità e diventa valutazione. E le valutazioni ci servono per muoverci nel mondo, senza di esse agiremmo “al buio”.

Cosa c’entrano le valutazioni con l’autostima?

Maria Miceli, autrice del libro “Autostima”, ci dice che per avere una buona autostima, due sono le strade possibili da percorrere:

  • cercare di guadagnarci buone valutazioni – o autovalutazioni – tentando di essere al meglio
  • conseguire successi e progredire 

e poi la scorciatoia, cercare di convincerci che corrispondiamo alle nostre aspirazioni.

Abbiamo visto anche l’importanza degli scopi, questo ha a che fare con il perché alcune valutazioni incidono di più e altre meno sulla nostra autostima: perché una autovalutazione abbia un forte impatto sull’autostima non conta tanto che sia molto positiva o negativa, ma che riguardi scopi importanti per l’individuo.

Insomma, se per me non è così importante saper cucinare bene, una valutazione di me come cuoca mediocre non inciderà molto sulla mia autostima!

Fulvia: Questa riflessione ha molto a che vedere anche con il business: costruire un’attività freelance o da liberə professionista che ci rappresenti e che sia di successo per noi, significa prima di tutto capire cosa ci muove, quali sono i nostri obiettivi e le nostre priorità. Tenere la barra dritta e puntare in una direzione chiara, che parte da cosa desideriamo davvero, ci aiuta anche a non cedere alla paura e al giudizio degli altri, a non sentirci sconfittə al primo ostacolo e a comunicare efficacemente…

Perché, diciamoci la verità, sulla carta sembra tutto molto semplice, ma nella pratica non lo è affatto.

La percezione del nostro successo nel lavoro e nella libera professione, ad esempio, c’entra molto con alcuni aspetti che, personalmente, trovo spesso in sessione: come ci parliamo, come pensiamo e di conseguenza come agiamo. È tutto collegato. Se siamo i primi a criticarci e a mettere in discussione noi e la nostra attività, se sviliamo i risultati raggiunti e ci chiudiamo, rimanendo rigidi sulle nostre posizioni, miniamo alla base il senso delle scelte che abbiamo fatto.

E così comunicare cosa sentiamo diventa ancora più difficile.

A questo proposito, secondo me, non c’è comunicazione efficace senza una buona autostima e senza assertività. Sei d’accordo?

Alessia: Sì, per esprimere i nostri bisogni e il nostro punto di vista con equilibrio, dobbiamo lavorare prima di tutto sull’assertività.

Cos’è l’assertività e quali sono i comportamenti anassertivi?

Fulvia: Assertività deriva dal latino “ad serere”, che significa “asserire, dichiarare”: affermare sé stessi. È la capacità di saper esprimere in modo equilibrato e chiaro le proprie emozioni, le proprie idee, le proprie opinioni, i propri sentimenti, senza sottomettersi né aggredire gli altri. Quindi, vuol dire darsi la possibilità di dire e dare all’altro consapevolmente, senza paure o sensi di colpa.

Quando non riusciamo a essere assertivə, adottiamo dei comportamenti che potremmo dire di compensazione: passivo, aggressivo o quello che io chiamo “il rimprovero silenzioso”, cioè il passivo-aggressivo o aggressivo indiretto. Molti problemi di relazione, nella vita e nel lavoro, hanno come denominatore comune la mancanza di assertività.

Alessia, potresti aiutarci a capire che cos’è il comportamento assertivo? E come si differenzia da quello passivo, passivo-aggressivo e aggressivo?

Alessia: L’assertività è un’abilità sociale, adottare un comportamento assertivo significa comunicare i propri bisogni, desideri e opinioni in modo chiaro e coerente, nel pieno rispetto dei propri diritti e di quelli dell’altra persona.

Questo ci fa subito comprendere che la comunicazione con l’altra persona è solo la punta dell’iceberg del comportamento assertivo; prima ancora di essere un modo di comunicare e agire, è un modo di percepire e considerare sé stessi all’interno di una relazione e un modo di considerare sé stessi/e in relazione alle situazioni e agli eventi che si vivono. In poche parole: se non ho chiaro il mio ruolo in una relazione e quali sono i miei bisogni, desideri e opinioni sarà molto difficile comunicarli all’esterno in modo assertivo.

Spesso l’assertività viene rappresentata al centro di un continuum di stili comunicativi, dove ai poli opposti troviamo lo stile passivo e quello aggressivo. Questa rappresentazione, a mio avviso, però, non è totalmente adeguata perché troviamo anche il caso del comportamento cosiddetto passivo-aggressivo.
Io preferisco rappresentarmi questo continuum come un cerchio dove i poli opposti possono anche incontrarsi dando vita proprio a quest’ultimo esempio e dove tutti gli altri stili al di fuori dell’assertività possono essere definiti anassertivi.
Ma vediamoli uno per uno.

Stile passivo

La persona tende a reprimere i propri bisogni, le proprie opinioni e sentimenti, con l’obiettivo di evitare il conflitto, i giudizi negativi, i rimproveri e le colpevolizzazioni da parte delle altre persone; spesso ha la convinzione di non essere in grado di gestire i conflitti e le situazioni di disaccordo e ne teme le conseguenze. In questo senso tenta di assicurarsi l’approvazione ed evitare l’esclusione sociale o l’umiliazione.

Lo stile passivo a lungo termine può inficiare l’autostima e il senso di autoefficacia, a causa della continua e persistente rinuncia e repressione dei propri bisogni individuali, e desideri, a favore del mantenimento dell’accondiscendenza delle altre persone. In questo modo, alla lunga, possono emergere risentimento, frustrazione e senso di impotenza, che facilmente sfoceranno nel comportamento passivo-aggressivo.

Stile aggressivo

È tipico di chi lascia poco spazio agli altri, impone le sue opinioni e i suoi desideri e non ammette quasi mai di avere torto. Contrariamente alla persona che si comporta passivamente, si mette al di sopra degli altri, tende a dominare le altre persone senza considerare il loro punto di vista.

La persona può essere convinta che solo con l’aggressività e la dominanza sia possibile essere considerati, farsi valere e dimostrare il proprio valore. Tuttavia, lo stile aggressivo, se persistente e pervasivo, può portare a un progressivo isolamento sociale o a difficoltà nelle relazioni interpersonali, caratterizzate da rancore, frustrazione e/o sottomissione nell’interlocutore, con conseguente logoramento della qualità della relazione.

Stile passivo-aggressivo

Questo stile è una combinazione subdola degli altri due: la persona evita il confronto diretto, ma esprime la sua rabbia o frustrazione in modi indiretti e manipolatori. Sotto una facciata di conformità si nasconde ostilità. Comportamenti tipici possono essere l’uso del sarcasmo, la comunicazione indiretta, il muro di silenzio, il rifiuto velato o la procrastinazione intenzionale, le frecciatine o i pettegolezzi.

Stile assertivo

È caratterizzato dal rispetto verso sé stessi e le altre persone e dall’autoresponsabilità: la persona che mette in atto uno stile assertivo ha un atteggiamento positivo e di fiducia verso sé stessa e il mondo esterno. Riconosce, rispetta ed esprime i propri bisogni nel rispetto di quelli altrui.

Lo stile assertivo implica l’ascolto attivo e la comprensione delle prospettive altrui, oltre che l’espressione dei propri bisogni e opinioni. Permette agli individui di riconoscere e legittimare il proprio valore e di comunicare i propri bisogni e le proprie opinioni con fiducia e sicurezza, in questo modo consente la creazione e il mantenimento di relazioni interpersonali più soddisfacenti, con una migliore capacità di gestione dei conflitti e di gestione dei confini nelle relazioni.

Le persone assertive sono in grado di formulare richieste ed esprimere dei rifiuti, tentando di preservare una buona relazione con l’altro.

Come adottare comportamenti più assertivi e comunicare efficacemente

Fulvia: Perché sviluppiamo comportamenti anassertivi? E come possiamo modificarli attraverso la terapia?

Alessia: La maggiore o minore propensione a comportarsi in modo assertivo è determinata dal modo in cui la persona guarda a sé stessa, alla persona che ha di fronte e alla situazione in generale. Ogni comportamento è determinato dal nostro modo di pensare, dalle nostre emozioni e dai nostri pensieri.

Emozioni e comportamenti derivano dalla nostra storia di apprendimento. Il fatto che alcuni nostri modi di pensare, sentirci emotivamente e comportarci siano stati rinforzati o meno, determina il nostro bagaglio di credenze su noi stessi/e e il mondo. Tutto ciò alla fine influenza il nostro stile di relazione.

In particolare, l’idea che abbiamo di noi stessi/e in termini di valore e importanza, e il grado di fiducia nelle nostre capacità, influiscono sul nostro stile di relazione interpersonale determinando la propensione ad agire in modo passivo, aggressivo o assertivo.

Quindi ritorniamo al tema affrontato all’inizio della nostra intervista: il ruolo dell’autostima, e qui aggiungerei anche dell’autoefficacia, è determinante sul modo in cui noi decidiamo di relazionarci con il resto delle persone.

Il fatto che tutto questo sia frutto di esperienze apprese, però, ci dà speranza: ciò che è appreso si può disapprendere a favore di comportamenti più funzionali.

La psicoterapia, in particolare quella a indirizzo cognitivo-comportamentale, è una risorsa importante per affrontare la sofferenza che deriva da un comportamento anassertivo.

Esistono veri e propri training di assertività che vengono fatti generalmente in un setting di gruppo. Ma si affrontano temi relativi all’assertività molto spesso anche in terapia individuale, sebbene in maniera meno strutturata.

Per esempio, io spesso utilizzo delle metafore per fare psicoeducazione sul comportamento anassertivo; la mia preferita è quella dell’effetto pentola a pressione: la persona che mette in atto un comportamento passivo-aggressivo è come una pentola a pressione alla quale non funziona bene lo sfiato del vapore, se il vapore non fuoriesce costantemente e nella giusta quantità rischia di accumularsi all’interno (proprio come la frustrazione nel non far uscire ciò che pensiamo) e il rischio che la pentola scoppi, magari nel momento meno opportuno, è elevato.

Concludo con un’altra cosa che trovo molto utile e sulla quale invito le persone a fare esercizio: usare il dialogo io e non tu. La differenza sta nel modo in cui comunichiamo un concetto e nelle parole che usiamo, ecco due esempi:

  • Dialogo TU (accusatorio): “tu mi fai stare male!”
  • Dialogo IO (assertivo): “quando ti comporti così io mi sento…”

Qual è il punto qui? Nel primo caso questo tipo di comunicazione potrebbe alimentare un’escalation di discussione perché l’altra persona, sentendosi accusata, potrebbe sentirsi autorizzata a contrattaccare e, inoltre, non comunica nulla dei propri sentimenti; nel secondo caso, intanto differenzio il comportamento dalla persona e poi comunico ciò che mi accade in relazione a quel comportamento. Tante più informazioni in poche parole!

Fulvia: Ecco, a questo proposito, è corretto dire che noi tutti abbiamo dei filtri cognitivi, che influenzano le nostre percezioni e quindi le nostre azioni? Richiamo qui alcuni dei più noti:

  • La distorsione, cioè, il processo di attribuzione di significato alle cose. Per esempio, pensare “Il cliente non mi risponde, quindi non gli importa del mio lavoro” corrisponde a una conclusione non verificata: una distorsione. Perché un ritardo non equivale a disinteresse. Un approccio assertivo per gestire questo pensiero può essere, ad esempio, scrivere al cliente dicendo: “Capisco che sei molto impegnato, ma per procedere col lavoro, mi servirebbe ricevere la tua risposta entro venerdì. Grazie!”
  • La cancellazione, cioè, il processo di omissione di ciò che non si reputa importante. Per esempio, pensare “Il cliente non apprezza il mio lavoro” è un esempio di cancellazione perché manca del tutto l’informazione su ciò che non piace al cliente. Un approccio assertivo può essere quello di chiedere direttamente e in modo aperto: “Capisco che ci siano aspetti del mio lavoro che non sono stati all’altezza delle tue aspettative. Puoi indicarmi cosa esattamente non ti soddisfa: il contenuto, la forma, i tempi? Vorrei capire meglio per poter migliorare.”
  • La generalizzazione, cioè, il raggruppamento in macro-gruppi. Pensare “Tutti i clienti chiedono sconti” o “Non ce la farò mai a farmi percepire come professionista valido” significa ignorare le eccezioni e le esperienze positive già vissute. Dirsi invece: “Alcuni clienti chiedono sconti, ma molti apprezzano valore e professionalità” o “Ho faticato a trasmettere la mia professionalità in alcuni casi, ma in altri sono riuscito a creare collaborazioni solide” aiuta a evitare di generalizzare.

Domande come “chi esattamente?”, “quando?”, “sempre?”, “cosa di preciso?”, aiutano a circoscrivere il problema e a individuare la causa del disagio. Sei d’accordo?

Alessia: Sì, è proprio così. Mettere a fuoco questi aspetti è molto utile, anche nel lavoro.

Fulvia: Confermo L’ho vissuto anch’io sulla mia pelle nella mia prima vita come export manager, quando dovevo gestire team, formare, colloquiare, assumere e licenziare persone, gestire situazioni spinose e clienti problematici. Erano contesti difficili e ho proprio sentito il bisogno di studiare e allenarmi sul campo per avere degli strumenti che mi aiutassero a vivere il lavoro molto meglio. Gli stessi strumenti, poi, li ho portati con me nella mia seconda vita come business coach, per aiutare le persone nel cambiamento e nell’evoluzione della propria attività o della propria carriera. Perché è un tema molto ricorrente e che ritrovo quasi sempre nei percorsi di mentoring e di gruppo che tengo. Ma la buona notizia è che, come tutte le abilità, anche l’assertività si può allenare e può dare risultati sorprendenti.

Alessia: Certo, anche l’assertività può essere allenata!

Fulvia: Di solito, per iniziare ad allenarsi, lascio questi consigli:

  1. Impara ad ascoltare attivamente e con fiducia, senza preconcetti o sovrastrutture mentali (potresti accorgerti che la persona dall’altra parte è molto migliore o più fragile di quello che avevi immaginato).
  2. Evita come la peste toni aggressivi o vittimistici, frasi di accusa o giustificazione: sono due lati della stessa medaglia (e poi, diciamocelo, sono poco eleganti).
  3. Abituati a spiegare le tue idee e le tue emozioni, con equilibrio, fermezza e rispetto.
  4. Di’ sì o no in coerenza con i tuoi valori e le tue esigenze, senza timore di critiche o recriminazioni.

Perché se ti alleni a esprimerti in modo diretto e chiaro, gli altri accetteranno i tuoi bisogni e il tuo punto di vista. E se poi non lo faranno? È un problema loro. E questo, diciamocelo, spaventa un po’, soprattutto chi teme di non valere abbastanza.

Alessia: È così, la paura del giudizio altrui porta con sé anche questo tipo di riflessione.

Autostima e autoefficacia: I can / I can't

Comunicazione efficace, sindrome dell’impostore ed effetto Dunning-Kruger

Fulvia: La paura di non valere abbastanza è uno dei problemi – io li chiamo bucce di banana – che si nascondono spesso nelle persone che faticano a comunicare i propri bisogni con fermezza: se non riconosciamo il nostro valore, sarà più difficile tenere i nervi saldi in un confronto con chi si mostra più sicuro di noi.

Nel mio lavoro, ho incontrato moltissimə professionstə di talento con un vissuto comune: la sensazione di non essere abbastanza e quindi di non poter alzare l’asticella del proprio business. Per esempio, farsi pagare di più, non cedere alle richieste eccessive, prendere lavori non allineati o dire di sì a clienti prepotenti. Eppure, nonostante le loro competenze – visibili a chiunque – sono persone che credono che tutto ciò che hanno ottenuto sia arrivato per puro caso o per merito degli altri. Anche questo ha molto a che vedere con la comunicazione efficace. Sei d’accordo?

Alessia: Sì, certo. Lo scenario che hai rappresentato rientra nella cosiddetta sindrome dell’impostore.

Fulvia: Cosa si intende con questo termine e cosa la innesca?

Alessia: Parto subito con lo specificare che non si tratta di una condizione psicopatologica, come si potrebbe pensare vista la definizione di sindrome, piuttosto parliamo di uno stato mentale nel quale la persona che lo sperimenta si sente una truffatrice, pensa di aver imbrogliato e dubita dei propri successi nonostante l’evidenza del contrario.

Ciò che caratterizza il pensiero delle persone che sperimentano questo stato è la tendenza ad attribuire i propri successi a fattori esterni (la fortuna, la tempistica giusta, ecc.) piuttosto che interni (le proprie capacità e competenze).

La sindrome dell’impostore è dunque un mix di senso di colpa per i traguardi raggiunti, mancata introiezione del successo, paura della valutazione e sentimenti di indegnità e inefficienza professionale e formativa.

La prima ricercatrice a parlare di questo fenomeno è stata Pauline Clance (1978) che ha identificato il fenomeno in un gruppo di donne di successo, le quali non si sentivano meritevoli del prestigioso ruolo ricoperto. Se è vero che nei primi studi la popolazione che ne soffriva era soprattutto femminile, ora colpisce una vasta fetta di popolazione senza distinzione di genere, in particolare però persone colte e istruite che ricoprono ruoli importanti in diversi settori.

Un fenomeno interessante e diametralmente opposto, invece, è l’effetto Dunning-Kruger, per cui molte persone tendono a sovrastimare le proprie conoscenze, nonostante queste siano davvero molto limitate. Il nome deriva dai ricercatori che per primi lo hanno studiato e che hanno evidenziato come esso derivi dalla stessa incompetenza dei soggetti: quanto più una persona è incompetente su un tema, tanto più non è in grado di padroneggiare quelle strategie metacognitive che permetterebbero una maggiore consapevolezza dei propri limiti.

Interessante no? Due fenomeni opposti che però in qualche modo si intrecciano, perché sembra proprio che la presenza di sindrome dell’impostore non permetta all’effetto Dunnig-Kruger di ridimensionarsi!

Per quanto riguarda le cause della sindrome dell’impostore, sono molteplici e legate a fattori psicologici, sociali e familiari. Partendo dalle ultime, direi che un ambiente familiare caratterizzato da standard elevati, forte criticismo, ipercontrollo e scarso supporto emotivo risulta essere quello più a rischio. Poi ci sono fattori psicologici individuali come bassa autostima, tendenza al perfezionismo e allo sperimentare soprattutto emozioni spiacevoli.

Infine, anche la società ci mette lo zampino: un ambiente sociale come il nostro, fortemente orientato al successo e alla performance, dove il confronto sociale è all’ordine del giorno (anche attraverso i social, ahimè) e ancora molto condizionato da stereotipi e discriminazioni offre sicuramente linfa vitale a questo fenomeno.

Fulvia: È un atteggiamento che incide direttamente anche sul business. Perché, se non sei consapevole delle abilità che hai maturato attraverso le tue esperienze, cadi nella convinzione di non essere mai sufficientemente preparatƏ per accettare un incarico o per farti pagare meglio per un tuo prodotto o servizio. E quindi anche a comunicarlo in una negoziazione.

Perché la comunicazione efficace fa bene al tuo business, se sei freelance?

Fulvia: Quando riusciamo a esprimerci in modo equilibrato e chiaro, a far valere il nostro punto di vista e i nostri bisogni, nel rispetto delle esigenze e dei diritti degli altri, possiamo vivere e lavorare meglio. È un atteggiamento, un comportamento – un modo di essere – che ci facilita le azioni e le relazioni.

Spesso, aiuto le persone a prepararsi per gestire quelle situazioni spinose sul lavoro, in cui, per esempio, non sanno come fare una richiesta o far valere un proprio bisogno. In quei casi dico loro di ripensare a quelle volte che si sono sentite forti per come hanno gestito bene una negoziazione o una richiesta inopportuna. Sottolineo i risultati ottenuti: c’è chi non ha ceduto a una richiesta di sconto, chi ha affrontato un ricatto e ne è uscitƏ a testa alta. Perché nel business i benefici della comunicazione efficace sono diversi:

  • ricevi rispetto da parte degli altri (non ti fai mettere nell’angolo) e migliori la tua reputazione come professionista affidabile e credibile
  • eviti di dipendere dal giudizio o dalle scelte degli altri (ti assumi la responsabilità del tuo business e dei risultati che ottieni)
  • sviluppi maggiore forza, autonomia e soddisfazione, sia a livello personale che lavorativo
  • aumenti la tua autostima e l’autoefficacia e agisci in modo concreto e più strategico
  • migliori le tue capacità di comunicazione e di negoziazione
  • costruisci relazioni solide e sincere con clienti e partner, dai fiducia e ottieni fiducia (che poi è alla base di un networking che funziona)

E, alla fine, questo approccio ti aiuta ad avere più autostima, a dirti “BravƏ, hai gestito proprio bene la situazione!” A darti quella pacca sulla spalla che ti serviva per portare avanti il tuo business. Potremmo dire che, in definitiva, la comunicazione efficace aiuta anche al di fuori del lavoro?

Alessia: Sì, certamente, la comunicazione efficace è alla base di relazioni soddisfacenti in ogni ambito di vita. Pensiamo a quanti malintesi e sofferenze nascono da un modo disfunzionale di comunicare in famiglia, nelle coppie e nei gruppi sociali. Anche di questo parliamo spesso in psicoterapia, in alcuni casi facendo degli incontri di skill training dove attraverso role playing aiutiamo le persone a costruire capacità comunicative più efficaci.

Fulvia: Lavorare bene su assertività e comunicazione efficace è molto importante anche per un altro aspetto fondamentale della vita di unə freelance: il personal branding, che però, spesso si scontra con la paura di comunicare sui social.

Il problema della comunicazione sui social e la paura di esporsi

Fulvia: I social possono essere una palestra potente per allenare assertività e comunicazione efficace, ma sono anche terreno fertile per ansie, insicurezze e auto-censura. I social possono essere utilizzati come palestra per l’assertività e la comunicazione efficace, secondo te?

Alessia: I social sono uno spazio importante per esprimersi, ma accrescono anche il timore del giudizio, l’autocritica e il senso di vulnerabilità. La visibilità pubblica, le reazioni e il confronto costante possono accentuare l’ansia sociale. Anche una mancata risposta può essere interpretata come rifiuto. Questa pressione spesso blocca. Inoltre, molti freelance esitano a pubblicare per timore di sbagliare o apparire inadatti, in alcuni casi anche ridicoli. La pressione a “esserci sempre” crea ansia e rafforza il confronto. Senza contare che il distacco fisico e l’anonimato possono favorire toni aggressivi o sarcastici da parte di alcuni utenti, che possono avere un impatto importante su chi li riceve. Quindi, sì, i social possono essere l’occasione per allenarsi a rispondere, ma prima serve una preparazione ed eventualmente un supporto psicologico per lavorare sui fattori alla base del disagio del singolo.

Fulvia: Grazie Alessia, per la chiarezza e la completezza. Direi allora di concludere la nostra chiacchierata, dando qualche consiglio pratico per lavorare su assertività e comunicazione efficace.

Tecniche, esercizi ed esempi per migliorare assertività e comunicazione efficace

Comunicazione efficace e assertività si possono allenare. Qui di seguito trovi alcune tecniche che Alessia ed io abbiamo raccolto per aiutarti a migliorarle, come persona e nel business (esattamente in questo ordine). Trovi anche degli esercizi e degli esempi per prepararti a gestire un confronto che temi o una richiesta che ti fa provare rabbia.

Ma ricorda che, se senti di avere bisogno di un aiuto per capire da dove nasce il tuo timore nel gestire i conflitti o, al contrario, la tua tendenza a importi, è consigliabile fare chiarezza con unə professionista della salute mentale come Alessia.

Dove si nasconde (davvero) il problema? Le domande per fare auto-valutazione

Per capire cosa ti impedisce di comunicare efficacemente, prova a chiederti:

  1. Qual è la situazione che voglio cambiare, esattamente?
  2. Qual è il pensiero che innesca quel mio filtro?
  3. Qual è il vantaggio di scardinarlo: cosa ci guadagno?
  4. Cosa sono dispostə a lasciare andare?

Preparati al confronto con il metodo ladder (scala)

Preparati al confronto o alla negoziazione con il metodo ladder (in italiano, scala):

  1. L come LOOK – Guarda ai tuoi bisogni e diritti, diventane consapevole
  2. A come ARRANGE – Organizza un confronto con l’altra persona per discutere a proposito di quella specifica situazione
  3. D come DEFINE – Definisci il problema in modo molto specifico
  4. D come DESCRIBE – Descrivi in modo chiaro i tuoi sentimenti, in prima persona, nella modalità “messaggio Io”
  5. E come EXPRESS – Esprimi ciò che desideri in modo diretto e conciso
  6. R come REINFORCE – Rinforza l’altra persona evidenziando il vantaggio (reciproco) nell’adottare l’opzione che hai proposto

Esercita l’ascolto attivo

Durante una conversazione, ripetere con parole tue ciò che l’altro ha detto ti aiuta ad accertarti di aver capito bene il suo messaggio e a individuare subito le incomprensioni. Per esempio, se durante una call o un incontro, un potenziale cliente ti dice “Penso che il sito che hai realizzato per me manchi di coerenza visiva e il messaggio è poco chiaro.” prova a ripetere con parole tue il suo messaggio: “Se ho capito bene, la tua impressione è che il design non comunichi l’identità del tuo brand e che il testo non sia abbastanza diretto, giusto? Vuoi che rivediamo il layout e i contenuti per renderli più coerenti?”

Preparati a ricevere feedback negativi e a rispondere con assertività

Quando ricevi un feedback negativo da un cliente o da un fornitore, anziché metterti sulla difensiva, cerca di capire cosa non è andato come previsto e cosa migliorare. Per esempio, se ti dicono che una consegna è in ritardo, chiedi scusa, analizza la causa del ritardo e proponi subito una soluzione.

Il feedback, anche se critico, è un’opportunità di crescita. Imparare a riceverlo senza prenderlo sul personale ti aiuta a sviluppare una mentalità di miglioramento continuo.

Preparati a gestire le obiezioni

Se un cliente solleva un’obiezione – ad esempio, sul prezzo -, ascolta il suo punto di vista, riconosci la sua preoccupazione e proponi delle alternative che possano soddisfare entrambe le parti (non solo il cliente). Se non è possibile trovare un punto di incontro, probabilmente quello non è il cliente per te.

Le obiezioni sono segnali di interesse. Gestirle con calma e apertura ti permette di trasformare una potenziale barriera in un’opportunità di dialogo.

Dopo la call: fai autoanalisi

Se hai la possibilità di registrare una call, fallo. Poi riascoltati e osservati per capire se salti dei passaggi, esiti sulle domande o parli troppo velocemente. È un esercizio che ti aiuta a essere consapevole dei tuoi automatismi comunicativi e quindi a correggerli.

Sostituisci il linguaggio negativo con quello positivo

Se un cliente ti dice che non può permettersi il tuo servizio, invece di rispondere “Se non puoi pagare di più, non posso aiutarti” usa una forma più vicina a lui “Capisco che il budget sia limitato. Possiamo trovare insieme un’alternativa che rientri nei tuoi vincoli, mantenendo la qualità?”

Il linguaggio positivo rimodella la percezione interna e appiana le cose. Pensaci. Sentirsi dire “Non posso farlo” e “Vorrei trovare insieme a te una soluzione valida per entrambi” cambia completamente lo scenario.

Tecnica per allenare l’assertività: il punto fermo

L’emozione è qualcosa che si prova, non qualcosa che si è. Per evitare di rimuginare troppo, stai nel presente e impara a gestire in equilibrio emozioni e pensiero, senza enfatizzare le tue sensazioni né giudicare le tue emozioni. Puoi fare così:

Chiediti “Come mi fa sentire questa situazione?”
Te lo dici e PUNTO. Finisce lì.

Chiediti: “Per quando mi serve questa informazione/risposta?”
Ti annoti la scadenza e PUNTO.

Tecnica per allenare l’assertività: auto accettazione

Riconosci il tuo valore, ancora meglio, esercitati nel riconoscere e celebrare i tuoi pregi, capacità e successi. Quindi, accetta di buon grado i complimenti che ti vengono rivolti. Di fronte a un elogio ti senti a disagio? Non minimizzare, non rimuginare: accetta con un “grazie” netto: “Grazie, mi fa piacere. Grazie, lo apprezzo.”

Tecnica per allenare l’assertività: sposta il focus sul “messaggio Io”

Esprimi i tuoi bisogni, i tuoi desideri, le tue aspettative anziché accusare l’altro. “Io sento” piuttosto che “Tu sei” (Thomas Gordon).

Il “messaggio Io” circoscrive la lamentela a un comportamento molto preciso, non dà un giudizio sulla persona e soprattutto esprime l’emozione di chi parla: la conseguenza che il comportamento dell’altro ha su di te.

Prova a dire:
Quando succede questo…
Io mi sento così…
Perché è importante per me…
Quello che vorrei è…

Tecnica per allenare l’assertività: respons-abilità

Responsabilità significa letteralmente l’abilità nel darci delle risposte su chi siamo e su quali sono le nostre intenzioni. Se io sono responsabile, so bene cosa voglio e come voglio fare le cose. Quindi ho le redini della mia vita e so che nel mio lavoro non dipendo dalla valutazione, dal giudizio o dalle scelte degli altri.
L’assertività – e di conseguenza la comunicazione efficace – implica anche avere chiaro quali sono le tue intenzioni, i tuoi comportamenti, i pensieri, i sentimenti e i confini (puoi dire di no!). Non evitare discussioni o conflitti. Non litigare, né fuggire. Entrambi sono tentativi di chiudere in fretta il dialogo.

Ricorda che puoi controllare solo te e il tuo comportamento.

Per esercitarti, non tirarti indietro. In un confronto, sostieni con decisione la tua posizione argomentando e lasciando agli altri il loro spazio.

Tecnica per allenare l’assertività: dare feedback “a panino”

Devi muovere un appunto a un collaboratore, cliente o un fornitore? È importante saper dare un feedback negativo trasformandolo, per chi lo riceve, in una opportunità di miglioramento.

Prepara uno script per punti:

  1. prima una cosa positiva per chi lo riceve (il pane)
  2. poi il tuo parere/consiglio sulla cosa da correggere/migliorare (ciccia)
  3. chiudi con un aspetto positivo che valorizza chi ti parla e mostra il vantaggio delle conseguenze di un cambiamento (di nuovo pane)

Continua a sviluppare l’assertività: prendi esempio o ispirazione

Nella tua cerchia di conoscenze – o pensando a personaggi pubblici che ammiri – ci sono persone che reputi assertive, di cui apprezzi l’approccio o la comunicazione?

  • Pensa e scrivi 4/5 nomi di persone assertive
  • Per ciascuna chiediti perché credi che sia assertiva
  • In cosa è efficace? Scrivi esempi concreti
  • In che modo puoi utilizzare la sua modalità?

Ecco, nel mio caso, questa persona è Gianrico Carofiglio. Mi ha insegnato tantissimo nei suoi interventi e nei suoi libri. Perché gestisce sempre le cose con educazione e con rispetto, ma in maniera chirurgica. Non lascia mai cadere l’argomento, però è sempre educato e puntuale.
E infatti, nella lista di letture per approfondire, che Alessia ed io abbiamo preparato per te, trovi proprio come primo suggerimento, uno dei libri di Carofiglio.

Consigli di lettura: libri per lavorare sulla comunicazione efficace e l’assertività

Se stai cercando qualche libro da leggere per lavorare sulla comunicazione efficace e l’assertività, ecco i miei consigli di lettura e quelli di Alessia:

Consigli di Fulvia

  • Elogio dell’ignoranza e dell’errore, di Gianrico Carofiglio, edito da Einaudi
  • Triggers. Innescare il cambiamento interiore. Diventate la persona che volete essere, di Marshall Goldsmith e Mark Reiter, edito da Franco Angeli
  • Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta, di Bertram Rosenberg Marshall, edito da Esserci
  • Cambia la tua vita con la TCC, di Corinne Sweet, edito da Vallardi
  • The long game, guardare lontano in un mondo a breve termine, di Dorie Clark, edito da Ayros
  • Piccolo manuale per persone vulnerabili, costruirsi una corazza personale e non perdere la serenità, di Barbara Berckhan, edito da Feltrinelli

Consigli di Alessia

Libri per professionisti

  • Manuale di assertività. Teoria e pratica delle abilità relazionali: alla scoperta di sé e degli altri di Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy, edito da Franco Angeli (2016)
  • Assertività e training assertivo. Teoria e pratica per migliorare le capacità relazionali dei pazienti di Francesca Baggio, edito da Franco Angeli (2016)
  • Training di comunicazione assertiva. Conoscere, valutare e potenziare comunicazione e relazioni interpersonali di Ezio e Francesco Sanavio, edito da. Erickson (2023)

Libri per tutti e tutte

  • Mi vado bene? Autostima e assertività di Michele Giannantonio, edito da Erickson (2009)
  • Puoi anche dire no! L’assertività al femminile di Beatrice Bauer, Gabriella Bagnato, Mariarosa Ventura, edito da Baldini e Castoldi, 2002
  • L’autostima. Alta o bassa, stabile o fluttuante, autentica o illusoria di Maria Miceli, edito da Il Mulino (2016)

Viviamo immersi nella comunicazione. Parliamo, scriviamo, rispondiamo a email, affrontiamo riunioni, conversazioni difficili, presentazioni, ma quante volte ci chiediamo davvero: sto comunicando come vorrei? Sto generando l’impatto che intendo?

La maggior parte delle persone non ha una risposta chiara. E questo può diventare un problema, perché senza consapevolezza, comunichiamo in automatico. E l’automatismo, nel mondo del lavoro, si paga: in incomprensioni, tensioni non dette, trattative che saltano o clienti che si allontanano senza spiegazioni.

In questo articolo ti porto a riflettere su come comunicare in modo più consapevole e strategico. Perché, se sai farlo, puoi gestire in modo positivo e semplice collaboratori, clienti, interlocutori complessi e… anche te stessə.

Molto parte da qui: da una buona comunicazione. E se non metti a segno questo primo colpo, tutto il resto – l’incontro, la relazione, l’accordo, la vendita – potrebbero anche non verificarsi mai.

Perché la consapevolezza comunicativa fa la differenza

Essere consapevoli della propria comunicazione non significa parlare bene. Significa sapere cosa stai trasmettendo, in ogni momento, con la tua voce, con il corpo, con le parole che scegli e con quelle che eviti. Significa sapere riconoscere il proprio valore. 

Spesso non è tanto cosa dici a generare reazioni, ma come lo dici.

  • Il tuo tono esprime sicurezza o ambiguità?
  • Il tuo corpo dice apertura o tensione?
  • Il tuo messaggio è chiaro, o chi ascolta deve decifrare?

La consapevolezza inizia proprio da qui: osservare il tuo stile comunicativo e notare l’effetto che ha sugli altri.

I pilastri dell’ascolto attivo e dell’empatia

Se vuoi davvero migliorare la tua comunicazione, devi smettere di pensare solo a cosa dire. Inizia ad ascoltare.

L’ascolto attivo non è solo sentire: è prestare attenzione con intenzione, mettendo da parte il bisogno di rispondere subito e creando spazio per comprendere l’altro.

Ecco tre strumenti concreti da allenare:

  • Domande aperte: stimolano riflessione e chiarimenti (“Come ti sei sentito in quella situazione?”).

  • Parafrasi: dimostrano che stai ascoltando davvero (“Se ho capito bene, mi stai dicendo che…”).

  • Feedback empatici: riconoscono l’emozione dell’altro (“Capisco quanto possa essere frustrante.”).

Questi strumenti trasformano i dialoghi: disinnescano tensioni, generano fiducia, creano alleanze.

Assertività: dire ciò che pensi senza prevaricare

Molti professionisti faticano a trovare il giusto equilibrio tra il dire troppo o non dire affatto. O diventano aggressivi o si fanno mettere da parte. In entrambi i casi, perdono autorevolezza.

Allenare l’assertività significa imparare a:

  • esprimere bisogni, idee, opinioni con chiarezza e rispetto
  • porre limiti senza rigidità né scuse
  • gestire i “NO” con fermezza ma anche con eleganza

L’assertività non è un talento: è una abilità che si sviluppa. E fa una differenza enorme, soprattutto nella gestione dei collaboratori, nelle trattative e nei momenti critici con i clienti.

Strumenti strategici per comunicazioni complesse

Ci sono situazioni in cui comunicare bene non basta. Serve una strategia. Una preparazione. Una capacità di gestire la pressione. Due strumenti che ti consiglio:

La tecnica delle “Tre A”

Attend – Assess – Address
Fermati, osserva, analizza la situazione (e le emozioni). Poi agisci in modo lucido, scegliendo parole consapevoli.

Evita reazioni impulsive, costruisci risposte intenzionali.

La Comunicazione Nonviolenta (CNV)

Ideata da Marshall Rosenberg, ti guida a esprimerti così:
1. Osservo i fatti, senza giudizio.
2. Esprimo ciò che sento.
3. Dichiaro un bisogno autentico.
4. Faccio una richiesta chiara, concreta.

Esempio:

“Quando non rispondi alle mail entro la scadenza (osservazione), mi sento frustrato (sentimento), perché ho bisogno di chiarezza per organizzare il lavoro (bisogno). Possiamo accordarci per rispondere entro 24 ore? (richiesta)”

Questo approccio è potente, perché disinnesca il conflitto e crea una comunicazione più relazionale e meno reattiva.

Comunicare con impatto: corpo, voce e presenza

La tua comunicazione inizia prima che tu apra bocca.

Il modo in cui entri in una stanza, come ti siedi, dove guardi, quanto sorridi: tutto comunica qualcosa.

In particolare:

  • La voce: tono, ritmo e volume generano attenzione o distrazione.

  • La postura: eretta ma rilassata trasmette sicurezza.

  • Lo sguardo: diretto ma non invadente crea connessione.

Allenare questi aspetti significa costruire presenza, quella qualità invisibile che fa dire a chi ti ascolta: “Questa persona sa cosa sta facendo.”

Storytelling e narrazione: la tua voce come leva di cambiamento

Ogni professionista ha un patrimonio invisibile: le sue esperienze. Quando impari a trasformarle in storie autentiche, coinvolgenti, che parlano di errori superati, intuizioni nate da momenti complessi, decisioni difficili, crei connessione.

Lo storytelling non è solo per chi fa marketing o public speaking. È utile in riunione, nei colloqui, nel dialogo con un collaboratore.

Perché le storie parlano alle emozioni e, quando tocchi le emozioni, la comunicazione diventa memorabile e trasformativa.

Dal sapere al fare: esercizi pratici e coaching individuale

Auto-osservazione

Prenditi una settimana per registrare alcune conversazioni (se ci sono altre persone, con il consenso ovviamente). Poi riascoltati e chiediti:

  • Che tono ho usato?

  • Ho parlato troppo? Troppo poco?

  • Il mio messaggio era chiaro?

Role-play

Simula situazioni critiche (una richiesta al capo, un rimprovero a un collaboratore, un feedback a un cliente). Fallo prima con un coach, poi nella realtà. Il miglioramento arriva con l’allenamento.

Micro-abitudini quotidiane

  • Prima di ogni call, respira e chiediti: “Qual è l’obiettivo comunicativo?”

  • Dopo ogni conversazione importante, annota: cosa ha funzionato? Cosa posso migliorare?

Queste semplici pratiche portano consapevolezza, giorno dopo giorno.

Trasforma la tua comunicazione, trasforma i tuoi risultati

Saper comunicare con chiarezza, presenza e assertività non è solo un vantaggio competitivo. È una leva di trasformazione personale e professionale.

Quando impari a esprimerti con consapevolezza, inizi a ottenere risultati diversi:

  • negozi con più sicurezza

  • guidi il tuo team con autorevolezza

  • gestisci i clienti con lucidità

  • migliori anche la relazione con te stesso.

Se vuoi allenare questa capacità in modo personalizzato e concreto, c’è il mio percorso di coaching individuale. Lavoreremo insieme per rendere la tua comunicazione un vero strumento di leadership gentile: allineato a chi sei e agli obiettivi che hai.

📩 Scrivimi a info@fulviasilvestri.it 

“Ho deciso di diventare freelance! Come faccio a trovare i primi clienti?” oppure “Sono freelance da tempo, ma non ho abbastanza clienti. Vorrei averne di più, cosa devo fare?”. Ecco due domande che ricevo spesso nei miei percorsi di business coaching. All’inizio, la necessità di trovare clienti è la prima grande difficoltà da superare per chi si mette in proprio. Una volta lasciata alle spalle, subentra un altro scoglio: avere più clienti o, in generale, avere clienti migliori per noi.

Ci siamo passatǝ tuttǝ.

Anche chi ha molti anni da dipendente alle spalle e decide di diventare freelance, deve passare da qui. E la paura di non farcela è sempre dietro l’angolo. Perché, diciamoci la verità, non basta saper fare bene il proprio lavoro per trovare automaticamente clienti. Serve anche farsi conoscere, avere un’offerta chiara e sapere a chi possiamo essere davvero utili.

In questo articolo, vediamo quali strategie possono aiutarti a trovare più clienti per la tua attività di freelance o di liberǝ professionista: non una ricetta magica – perché non esiste – ma dei consigli (anche molto pratici) per farti scegliere dalle persone giuste per te.

Tipi di clienti: con quali vuoi lavorare tu?

Non tutti i clienti sono uguali e non tutti sono adatti a te.

In generale, nella vita di unǝ freelance, è fisiologico incontrare clienti di ogni tipo. Probabilmente anche tu avrai trovato sulla tua strada persone insicure o indecise, che vanno guidate con pazienza e gentilezza. O forse hai incontrato persone scettiche. Queste, di solito, appartengono alla categoria dei clienti che sono rimasti scottati in passato e che potrebbero mettere in discussione ogni tua proposta (a volte, addirittura il tuo stesso valore). Poi, purtroppo, ci sono anche i clienti aggressivi e arrabbiati. Per indole o modo di fare, possono rivelarsi davvero sfidanti: sono i clienti per pochi. Servono assertività e pelo sullo stomaco per gestire questo tipo di persone.

Non a caso, moltǝ freelance che ho incontrato nella mia attività di business coach li evitano volentieri. E poi, diciamocelo, se sei liberǝ professionista, probabilmente, anche tu hai scelto questa strada per non avere più a che fare con persone così. Giusto? 😉

Infine, ci sono i clienti ideali: sono quelli con cui ti trovi subito in sintonia, che capiscono il valore del tuo lavoro, ti apprezzano come professionista e si fidano di te. Queste persone esistono, devi solo metterle a fuoco, e sono quelle su cui vale davvero la pena investire.

I clienti ideali sono diversi per ognunǝ di noi. Le persone con cui mi trovo bene io non sono necessariamente quelle con cui potresti trovarti a tuo agio. Ecco perché, prima di lanciarti nella ricerca di nuovi clienti, ti consiglio di chiarire bene chi sono i tuoi clienti ideali e dove si trovano: su quali social, in quali reti, in quali canali online e offline puoi intercettarli.

Per farlo, hai bisogno di due cose: un modello di business e una strategia di personal branding.

Partiamo dall’inizio: per trovare più clienti, il tuo business deve essere chiaro

Per le persone è chiaro chi sei, cosa fai e come sei di aiuto? Perché, se questi nodi non sono sciolti, sarà molto difficile che ti contattino. Capita spesso di innamorarsi di un’idea imprenditoriale, per poi scoprire che non ha mercato, o di lanciare un servizio utile e di valore, focalizzandosi sui clienti sbagliati.

A volte, i clienti non arrivano proprio perché non si è fatta chiarezza.

Quindi, se nessuno ti contatta o comunque ti contattano in pochi, la prima cosa che ti consiglio di fare è definire o rivedere il tuo modello di business, cioè l’insieme degli elementi che, combinati tra loro, ti permettono di creare e distribuire il tuo valore. È un’analisi molto approfondita e soprattutto molto concreta, che ti aiuta a mettere a fuoco il tuo posizionamento sul mercato e a chiarire il tuo perché, che è strettamente legato al tuo Superpotere (cioè, quel talento che ti distingue e ti aiuta a cavartela nelle situazioni difficili).

Non è pensabile fare la libera professione sperando che il lavoro – i clienti, il fatturato – arrivino da soli: sono necessari una visione, uno scopo, un progetto, una direzione. Se non ce li hai, devi inventarli. Devi cercare tu le idee, le soluzioni, le strategie, le collaborazioni. Poi devi buttarti e sperimentare. Non c’è un altro modo.

A che punto è il tuo personal branding?

Gettate le fondamenta col business model, si costruiscono i muri, cioè il personal branding, che è l’altro aspetto fondamentale su cui lavorare per trovare più clienti giusti per te.

Il personal branding, chiariamolo subito, non è sapersi vendere, ma evitare di farlo. Perché ti aiuta a costruirti una reputazione all’interno del tuo settore ed è il motivo per cui le persone sceglieranno di affidarsi a te e non ad altrǝ freelance: non avrai bisogno di vendere, perché saranno i clienti a cercarti. Puoi lavorarci sempre, che tu sia all’inizio della tua attività o che tu abbia la P.IVA da tempo.

Personal branding per chi è all’inizio della sua attività e cerca clienti

Forse ti stai dicendo: “Ho appena aperto la P.IVA, come faccio a costruirmi una reputazione?”

Giusta obiezione, che ricevo regolarmente nei miei percorsi di mentoring. Il personal branding ti aiuta in ogni caso, anche se hai iniziato da poco. Anzi, a maggior ragione, può essere di aiuto proprio a chi è all’inizio e non sa come muoversi. Perché aiuta a evitare i clienti difficili.

Sono certa che ti sarà capitato di incontrarne. Sono quelli che non pagano, chiedono sempre uno sconto, non rispettano i tuoi spazi, mettono in discussione ogni dettaglio. All’inizio, passare sotto le forche caudine di questo tipo di cliente è fisiologico e ti aiuta a capire con chi non vuoi collaborare. Ma poi è bene staccarsene il prima possibile, perché queste persone possono danneggiare seriamente la tua autostima e la tua autoefficacia, minando le fondamenta del tuo business.

Lavorare sul personal branding ti mette al riparo da queste situazioni, perché è una strategia che parte dai tuoi valori e ti aiuta ad attrarre le persone che condividono il tuo sentire, tenendo a distanza chi è troppo diverso da te. Non è magia. È percezione. Certo, è sempre possibile che qualcuno riesca a eludere le maglie e si riveli un cliente difficile, ma è un’eventualità poco frequente.

Personal branding per chi è freelance da tempo e cerca i clienti giusti

Con gli anni si impara a sviluppare un certo fiuto per il cliente difficile e a evitare a monte di investire tempo e speranze in una collaborazione infruttuosa: impari a capire con chi vuoi collaborare.

Ecco allora che il personal branding diventa uno strumento prezioso per intercettare proprio quelle persone che, per valori, caratteristiche personali ed economiche, sono disposte a investire nel tuo prodotto o servizio. Ma soprattutto sono felici di investire su di te.

Sia che ti trovi in questa fase della tua attività di freelance, sia che tu abbia aperto la P.IVA da poco, potrebbe interessarti leggere la guida che ho scritto per aiutarti a potenziare il tuo personal branding. Se invece vuoi iniziare a lavorarci su, potresti valutare Scopri il tuo brand, il percorso di gruppo che ho pensato per lǝ freelance che desiderano rivoluzionare il loro business ed emergere sul mercato, anche a partire dal tipo di clienti con cui lavorare.

Strategie e canali per farti trovare dai clienti giusti per te

Se hai messo a fuoco i tuoi clienti ideali, il tuo modello di business e su cosa puntare col tuo personal branding, puoi iniziare a farti conoscere, utilizzando i canali giusti. Perché non è necessario essere ovunque, basta esserci, dove e quando serve.

Un errore comune è pensare che Instagram sia sufficiente per trovare clienti o che i social, senza sito web, bastino. Non è così. Se il tuo target è prettamente tecnico, molto probabilmente lo troverai su LinkedIn o agli eventi di networking. E forse potrebbe essere interessato ai tuoi articoli del blog. Al contrario, un’artigiana che realizza prodotti per l’infanzia dovrebbe essere assolutamente su Instagram ed evitare di disperdere le energie con canali tipicamente B2B come LinkedIn.

In generale, però, i canali che ti consiglio di presidiare per trovare nuovi clienti sono principalmente 3: sito web (con o senza newsletter, anche se, in molti casi, è meglio “con”), social e networking strategico.

1 – Sito web e blog: crea e coltiva uno spazio di tua proprietà

Un sito web professionale e ottimizzato, cioè un sito pensato in ottica SEO, ti aiuta a farti trovare dai clienti che stanno cercando proprio il tuo prodotto o servizio, senza investire in pubblicità. Ti permette di mostrare le tue competenze, raccontare il tuo punto di vista, trasmettere i tuoi valori e intercettare le persone che potrebbero essere interessate a ciò che fai. A differenza dei social, che sono spazi in affitto, il sito web è di tua proprietà. E poi è il cuore del tuo funnel: è soprattutto da qui che puoi chiedere alle persone di iscriversi alla tua newsletter, se ne hai una.

2 – I social sono importanti, meglio non trascurarli

So che moltǝ mal sopportano i social. Io stessa, a volte 😅, vorrei chiudere tutto e concentrarmi solo sulla mia newsletter e sul blog. Ma la verità è che, purtroppo, al momento non possiamo farne a meno. Per citare i Coma_Cose “Ma dove scappi senza cuoricini”?

Coi cuoricini dobbiamo farci i conti, perché anche i social ci aiutano a farci trovare dai nostri potenziali clienti e a fare branding, c’è poco da fare. Le persone li usano e sono comunque uno spazio interessante in cui parlare di noi e del dietro le quinte del nostro business.

Quindi, già che dobbiamo esserci, meglio starci con intelligenza, sei d’accordo?
Allora, il consiglio che ti do è fissare degli obiettivi chiari, che possono essere, per esempio, obiettivi di branding (farti conoscere come fonte autorevole nel tuo settore, comunicare i tuoi valori e il tuo valore) e di vendita (lanciare un servizio o un prodotto). In ogni caso, non andare alla cieca. Perché pubblicare senza una direzione non serve ed è uno spreco di tempo (a volte anche di soldi).

3 – Cura le relazioni: networking e passaparola ti aiutano a raggiungere nuovi clienti

Il passaparola è ancora uno strumento potentissimo per trovare nuovi clienti e nuove collaborazioni. I clienti che si sono trovati bene con te, molto probabilmente, ti consiglieranno ad altre persone (per questo, se puoi, cerca di raccogliere sempre delle recensioni). Anche partecipare agli eventi di settore è di aiuto: ti permette di costruire relazioni reciprocamente vantaggiose con altri freelance, avere una rete su cui contare per trovare nuovi lavori e collaborare a progetti interessanti.

Ricorda, però, che il networking, come tutti gli strumenti di personal branding che abbiamo visto fino a qui, deve essere strategico, cioè, deve avere un obiettivo. Perché sia un networking efficace richiede selezione: non serve andare a tutti gli eventi e a tutti gli incontri di formazione che conosci. Scegli quelli che senti in linea con il tuo lavoro e il tuo modo di essere. Ma quando ci sei, non fare da tappezzeria 😉

E quando i clienti finalmente arrivano?

Spesso ci concentriamo sull’acquisire più clienti, trascurando il dopo. Quando il personal branding inizia a dare i suoi frutti e sempre più clienti bussano alla tua porta, si pone un altro problema: gestire le nuove collaborazioni, senza sacrificare la qualità e senza andare in burnout.

Sarò sincera: è complesso se non hai chiarito bene qual è il tuo business model e soprattutto cosa desideri per te. Perché il business model dovrebbe partire dai tuoi obiettivi e dalle tue priorità. Per esempio, se decidi di puntare su servizi personalizzati, perché credi nella cura del cliente e nella relazione uno a uno, non riuscirai a gestire molte collaborazioni insieme. Dovrai alzare i prezzi, scegliere i clienti con cui lavorare ed eventualmente strutturarti costruendo una rete di freelance per assorbire i picchi di lavoro.

Invece, se preferisci vendere servizi digitali o fisici, potrai puntare sull’automazione e la scalabilità, che ti permettono di assorbire molti clienti contemporaneamente. Ma se scegli questa via, dovrai necessariamente investire molto nel marketing e nella pubblicità.

Come vedi, non c’è una ricetta giusta per tuttǝ. Si tratta di provare, vedere come va e nel caso, ripartire. Perché, in fondo, essere liberǝ professionistǝ è proprio questo (se ti interessa, ne ho parlato anche nella mia guida su come diventare freelance).

Sull’essere freelance per davvero.
Fare il tuo lavoro non è gratis. E no, non parlo (solo) di denaro.
Parlo del prezzo invisibile che paghi ogni giorno quando costruisci qualcosa che magari non esisteva, se non nella tua testa. Il prezzo di esporti o investire energie senza garanzie, di vivere in uno spazio costante tra ispirazione e incertezza.
Di scegliere, ogni giorno, una strada che nessuno ha tracciato per te.

Posso aiutarti a costruire le basi per avere più clienti, più giusti per te

Sono una business coach e una consulente di carriera. Aiuto freelance, aspiranti freelance e persone che desiderano cambiare lavoro, a essere felici nella vita e nell’attività lavorativa (in quest’ordine). Posso aiutarti a fare chiarezza e a capire quale direzione prendere per costruire un business che ti rispecchi, a trovare i clienti giusti per te e a vivere con più serenità la libera professione.

Se senti che è il momento di dare forma (vera) a ciò che desideri, scrivimi:
📩 info@fulviasilvestri.it

“Vendere non è professionale e non fa per me”. Nel mondo freelance e delle professioni creative, quando si parla di personal branding, il primo pensiero di solito va all’autopromozione, al farsi pubblicità, al doversi vendere (leggi svendere) per avere clienti: essere su Instagram per accaparrarsi quel pezzetto di notorietà in più, a tutti i costi.

Subito dopo arrivano altri pensieri:
“Farsi pubblicità è da disonesti. Io non sono così…”
“I miei concorrenti sono squali che sanno vendersi bene, mentre io soccombo, non riesco a emergere!”

Forse anche tu, pensando al personal branding, provi qualcosa di simile.

Saresti in ottima compagnia.

Molte delle persone che accompagno nei miei percorsi di business coaching si sentono esattamente in questo modo. Sono copywriter, graficə, illustratricə, fotografə, web designer: freelance creativə talentuosə che vorrebbero emergere e differenziarsi dai concorrenti, percepiti come più scafati e intraprendenti di loro, ma si sentono bloccatə o disorientatə.

Il fatto è che scambiano il personal branding per la pubblicità: un equivoco che lə paralizza.

Se ti risuona, questo articolo è proprio per te.

Mi piacerebbe aiutarti a capire cosa è davvero il personal branding, perché dovresti iniziare a lavorarci su (potresti scoprire che, forse, lo stai già facendo, ma senza esserne consapevole) e quali passi seguire per renderlo uno strumento davvero utile per il tuo business da freelance.

Trovi anche alcuni esercizi che potrai mettere in pratica subito per iniziare a prenderti cura del tuo brand umano già da oggi.

Cos’è il personal branding (davvero)?

Il personal branding è la capacità di costruirci una reputazione, ancora meglio, una reputazione che anche gli altri ci riconoscono, all’interno del nostro settore. In pratica, è il motivo per cui le persone sceglieranno di affidarsi a noi e non ad altri ed è l’insieme delle azioni necessarie per far conoscere il nostro nome ai nostri potenziali clienti.

Online trovi moltissime definizioni di personal branding. Tra le tante, trovo che quella di Luigi Centenaro, primo personal branding strategist in Italia, sia la più calzante:

Personal branding significa
gestire in maniera strategica la tua immagine professionale.
Luigi Centenaro

Strategia e immagine professionale sono le due parole chiave su cui ti invito a focalizzarti:

  • Strategia, perché lavorare sul tuo brand personale richiede costanza, tempo e metodo, non è qualcosa che si improvvisa
  • Immagine professionale, perché il tuo brand umano dipende anche da come gli altri ti vedono, da quale percezione hanno di te

Indipendentemente dalla tua attività – di freelance, imprenditorə, liberə professionista o anche dipendente – il personal branding serve sempre. È ciò che ti distingue e che ti permette di influenzare in anticipo la tua clientela o il tuo datore di lavoro.

Certo, se hai un’attività in proprio, serve di più.

Non a caso, alcuni lo definiscono anche come il marketing applicato alla persona: fare di te stessə un brand umano. Ma, se ci pensiamo bene, ognunə di noi trae un vantaggio a essere riconosciutə come competente e affidabile nella sua professione, giusto? Quindi tutti hanno interesse a lavorare sul proprio personal branding, freelance e non.

Personal branding e personal positioning

Un concetto analogo e complementare a quello di personal branding è personal positioning, cioè il processo attraverso cui stabilisci come vuoi far sentire le persone che scelgono di lavorare con te. Per farlo, chiediti:

  • Quali bisogni soddisfi?
  • Quali desideri esaudisci?
  • Quali emozioni condividi?

Quando personal branding e personal positioning funzionano bene, puoi differenziarti dai tuoi concorrenti, senza snaturarti e senza troppi sforzi. E questo ci porta a definire cosa non è il personal branding.

Personal branding non vuol dire “sapersi vendere”, anzi

Personal branding non è sapersi vendere, ma evitare di farlo. È un assist importantissimo per le persone introverse (sicuramente come me e forse anche come te): persone che vivono con fatica il fatto di dover convincere gli altri di essere capaci, che trovano la vendita fine a sé stessa qualcosa di “brutto e sporco” o “un modo di fare da spacconi” (qui cito testualmente due delle espressioni che sento dire spesso nei miei percorsi: ti risuonano?).

È utile anche per le persone multi potenziali, cioè, quelle che hanno molti interessi e sviluppano competenze specifiche in campi diversi, tanto da portare avanti in parallelo carriere anche molto lontane tra loro. Ma che, proprio per questo, fanno più fatica a trovare quel fil rouge che accomuna i loro talenti e a comunicarlo. Ti riconosci in questa descrizione?

In entrambi i casi, c’è una buona notizia 🙂

Se lavori bene sul tuo personal branding, non avrai bisogno di vendere, perché saranno gli altri a cercarti: la tua credibilità e la stima che le persone hanno per te ti precederanno.

E questo accade molto più spesso di quanto pensiamo!

Per capire se è così anche per te, ti propongo un esercizio che faccio sempre nei miei percorsi di mentoring e formazione. Prova ad analizzare:

  • Da dove ti arrivano i clienti
  • Da quali canali o con quale modalità

Quando pongo queste domande in sessione, spesso mi sento dire: “I miei clienti arrivano da Instagram”. Ma, in verità, approfondendo meglio, scopriamo che non è così. L’esperienza mi ha insegnato che molti dei clienti che ci arrivano dai social hanno cominciato a farlo perché altre persone, che conosciamo molto bene, hanno parlato di noi. Quindi, in realtà, quei clienti sono arrivati dalla fiducia e dal passaparola, non da un funnel di marketing.

E i clienti che hai oggi? Da dove sono arrivati davvero? Potresti scoprire che sono giunti a te dalla fiducia che hai seminato in passato. E questo significa che hai già messo in moto gli ingranaggi del tuo personal branding. Ora devi solo metterli a sistema e trasformarli in uno strumento di cui sei consapevole e che ti permetterà di raggiungere i tuoi obiettivi di business e personali.

Sai già quali sono?

Per lavorare sul personal branding è importante fare chiarezza

Secondo me, per lavorare sul personal branding, serve sempre partire dalla chiarezza, lavorare sulle due grandi domande esistenziali – “Chi sono?”, “Cosa voglio (qual è la mia visione, quali sono i miei obiettivi)?” – e sulla fiducia, cioè, costruire relazioni e connessioni autentiche.

E poi definire perché facciamo ciò che facciamo, in che modo lo facciamo, in cosa crediamo, qual è il punto di vista unico che ci distingue da tutti gli altri. È molto legato al concetto giapponese di ikigai, cioè, qual è il tuo scopo nella vita e quindi anche nel lavoro (te ne parlo nella mia guida come diventare freelance e nella mia newsletter, dove trovi anche un esercizio per aiutarti a capire qual è il tuo ikigai).

Naturalmente, tutto questo deve avvenire in relazione al nostro modello di business, cioè all’insieme di elementi che, combinati tra loro, ci permettono di creare e distribuire valore, inteso come valore dei nostri prodotti o servizi, come persone e come professionistə.

Fare chiarezza ci aiuta ad avere le redini della nostra attività e a non lavorare trasportati dal caso. Non vuol dire avere la certezza che le cose andranno sempre per il verso giusto, ma saper riorientare la bussola ogni volta che ce ne sarà bisogno.

Il personal branding ha molto a che fare col mindset:
non è autocelebrazione, è chiarezza

I vantaggi del personal branding autentico: se lo fai bene, ti cambia la vita

Più clienti, più giusti per te. Un equilibrio armonioso tra le esigenze e le responsabilità della vita e del lavoro. Più chance per raggiungere i risultati economici che vuoi. Aggiungi liberamente cosa conta per te.

Il personal branding può aiutarti a raggiungere questi e altri obiettivi, quelli che desideri davvero. Ecco perché è importante fare chiarezza prima di iniziare a lavorare sugli strumenti di personal branding: sito, social, newsletter (ne parleremo tra poco). Non sto dicendo che sia la bacchetta magica che risolverà tutti i tuoi problemi di business, ma che ti permette di costruire un business più allineato a te e alla tua visione.

Lavorare sul personal branding richiede tempo e vuol dire essere costanti, stabilire una direzione e i passi da seguire. Ne vale la pena, se pensiamo che costruire un brand umano forte e riconoscibile ha degli indubbi vantaggi.

Le persone sceglieranno te, proprio perché sei tu

Innanzitutto, è il modo più pratico per trovare nuovi clienti – o fidelizzare i clienti che hai già e con cui vuoi continuare a collaborare – senza snaturarti. Se comunichi bene il tuo valore come professionista e come persona, se la tua offerta risponde ai bisogni e ai desideri dei tuoi clienti, puoi differenziarti davvero e le persone sceglieranno te, proprio perché sei tu. A quel punto, la concorrenza farà meno paura, anzi, probabilmente ti accorgerai che molti di quelli che consideravi concorrenti diretti non lo sono e la sensazione di “non essere abbastanza” si farà sentire, col tempo, sempre di meno.

Ti aiuta ad attirare i clienti con cui ti trovi bene

Un personal branding che funziona ti aiuta ad avvicinare le persone che davvero vuoi calamitare nel tuo business e allontanare quelle che in qualche modo per te non potrebbero funzionare: crea una cesura tra chi è distante da te e chi si riconosce nei tuoi servizi e soprattutto nel tuo approccio, nel tuo modo di fare e vedere le cose.

Come costruire il tuo personal brand umano

Gli approcci per iniziare a fare personal branding sono molti, il mio parte dall’identità, perché credo che la bussola di tutto siamo noi. Quindi si inizia definendo l’identità di brand (chi sei), poi si delinea il pubblico (chi sono i tuoi clienti) e il tuo perché (la tua Unique Value Proposition). Questa è la base. Seguono gli strumenti di marketing e comunicazione (sito, newsletter, social, networking…) e la brand identity intesa in senso “grafico”. Questi sono i passaggi, ma il filo conduttore è sempre lo stesso: comunicare chi sei e il tuo perché.

Quando la comunicazione è autentica, si vede.
E si vede anche quando non lo è.

1) Brand identity: chi sei, cosa offri e cosa ti distingue?

L’identità del tuo brand comprende tutti gli elementi che ti definiscono e ti rendono immediatamente riconoscibile. Per sapere quali sono, prova a rispondere a queste domande:

  • Chi sei?
  • Cosa vuoi fare nel tuo business da freelance?
  • Quali traguardi vuoi raggiungere?

Tutti noi abbiamo talenti, competenze, abilità ed esperienze che ci permettono di rendere proficuo e sostenibile il nostro lavoro. La parte difficile è riuscire a vedere il nostro valore, capire in cosa siamo diversə dagli altri e comunicarlo nel modo più efficace. Questo perché l’identità ha a che fare con noi come persone, prima ancora che come freelance.

Essere osservati e osservatori allo stesso tempo non ci permette di guardarci con obiettività. Trovare qualcuno che ci faccia da specchio come un mentore, un consulente o un business coach, per esempio, facilita certamente le cose, ma possiamo iniziare a lavorarci anche da solə.

Qui di seguito ti propongo alcuni esercizi che possono aiutarti a mettere a fuoco i tuoi talenti, il tuo valore e tuoi valori, e i tuoi obiettivi.

  • Scopri il tuo Superpotere
    Cos’è il Superpotere? È il tuo diamante unico: quel dono che ti ha sempre portato dei vantaggi e sempre te ne porterà. Ti sostiene e aiuta a realizzare i tuoi obiettivi e ti permette di risolvere i problemi quando sei in difficoltà.
  • Fai un’analisi SWOT
    Cioè, un’analisi dei tuoi punti di forza e di debolezza. La trovi nella mia guida per aiutarti a potenziare il tuo personal branding.
  • Fai una mappa dei tuoi valori, definisci i tuoi obiettivi
    I tuoi valori sono ciò che è più importante per te: le tue priorità. Per aiutarti a focalizzarli, ho creato un esercizio che puoi scaricare gratuitamente in fondo a questo articolo utile a definire i tuoi obiettivi e le tue priorità. L’ho chiamato proprio Riparti da te. Poi potrai stabilire quali sono i tuoi obiettivi dei prossimi mesi o anni: perché sono importanti per te è alla base della strategia di definizione del personal branding. Dove ti vedi tra 3, 5 o 10 anni? Che vita farai? Come sarà la tua giornata? Nel tempo, gli obiettivi possono cambiare, ma avere chiara la direzione ti evita di andare a caso.
  • Impara a darti valore
    So quanto sia difficile comprendere il nostro valore e ancor di più comunicarlo agli altri. Il problema è che spesso ci raccontiamo anche peggio di come ci vediamo realmente! Di solito non parliamo delle nostre gioie e dei nostri risultati, ma ciò che non diciamo, finiamo per non vederlo. Ecco perché dovresti provare a raccontarti in modo diverso.

 

2) Audience: a chi ti rivolgi e come puoi aiutare i tuoi clienti?

Un business allineato a te è anche un business pensato per aiutare le persone giuste per te. Siamo tutti spinti da due grandi forze: la motivazione pratica e la motivazione ideologica. La motivazione pratica è quella che ci porta a fare scelte legate a un nostro personale bisogno di organizzare la nostra vita (per esempio, lavorare solo un tot. di ore al giorno, perché abbiamo un determinato menage familiare o personale) o perché vogliamo raggiungere un certo fatturato. La motivazione ideologica è ciò che noi vogliamo per il nostro pubblico, cioè per i nostri clienti. Quindi dobbiamo individuare qual è quel pubblico.

Per capire chi è la tua audience, prova a chiederti:

  • Quali sono i tuoi attuali clienti?
  • Quali sono i clienti con cui desideri collaborare?
  • Come puoi attrarre ulteriori potenziali clienti in linea con i tuoi obiettivi?
  • Qual è il valore che puoi dare loro e come veicolarlo?

Sapere quale segno vogliamo lasciare nel mondo, nel nostro piccolo,
è una delle forze motrici del personal branding.

Riflettere su questo ti aiuta a rendere chiara la tua missione. Per definirla, ecco un altro esercizio. Prendi carta e penna e prova a chiederti:

  • È chiaro ciò che fai e come lo fai?
  • Si capisce come la pensi e qual è il tuo approccio?
  • È chiaro in primis a te? Se non è chiaro per te, non può arrivare agli altri.
  • Perché i clienti dovrebbero sceglierti o seguirti?
  • Perché i potenziali partner dovrebbero collaborare con te?
  • I tuoi potenziali clienti sanno quali sono i tuoi valori e come vedi il mondo?
  • Sanno qual è il tuo perché, come fai le cose e qual è il tuo DNA professionale?

Queste sono domande molto utili per definire l’identità e il carattere distintivo del tuo brand e quindi il tuo posizionamento.

3) Posizionamento di brand: qual è la tua proposta unica di valore?

Le domande che trovi nei paragrafi precedenti ti aiutano anche a mettere a fuoco qual è la tua Unique Value Proposition, cioè, quali benefici dai ai tuoi clienti e in che modo ti distingui dai tuoi concorrenti. Puoi usarli per costruire un “manifesto” che dica in maniera molto chiara cosa fai, perché lo fai, in che modo lo fai, in cosa credi, qual è il tuo punto di vista unico e cosa ti distingue dagli altri.

Prova a riassumere tutto in una frase: ecco la tua proposta unica di valore! Ciò che dovrà emergere in tutta la tua comunicazione.

4) Dove comunicare: strategia di marketing e canali

Stabiliti i pilastri del personal branding, puoi iniziare a comunicarti sui canali dove i tuoi clienti si trovano. Alcuni di questi sono indispensabili – penso al sito web, per esempio – mentre altri dipendono dalla tua attività e dalla tua audience: Instagram, LinkedIn, Facebook, ogni social ha il suo pubblico (e le sue storture, è vero, ma al momento non possiamo permetterci di farne a meno…).

Oltre a questi, puoi valutare anche la creazione di un blog e di una newsletter. Quest’ultima è un canale che personalmente amo molto. Infatti, la mia newsletter è al centro della strategia di personal branding che ho messo a punto per me.

Ultimo, ma non meno importante, il networking efficace. La tua strategia di personal branding dovrebbe considerare anche e soprattutto la costruzione di relazioni autentiche, perché sono queste che generano il passaparola virtuoso che ti porterà nuovi clienti.

E a quel punto, social, sito web e funnel di marketing saranno i luoghi che confermano la tua competenza e il tuo approccio.

5) Esperienza e coerenza: tutto deve comunicare chi sei

Anche la mail di risposta a un nuovo contatto deve parlare di te. Perché esperienza e coerenza sono alla base del modo in cui decidi di prenderti cura delle relazioni con i tuoi clienti e partner. Tutto dovrebbe parlare di te: dalla grafica del post, al modo in cui rispondi alle mail. Personal branding è anche questo. Se hai lavorato bene nelle prime fasi, facendo chiarezza a monte, comunicare in modo autentico sarà più semplice.

Un esempio perfetto di personal branding

Uno dei freelance che più ammiro è sicuramente Riccardo Scandellari (Skande). Oltre a essere un bravissimo docente, è anche un grande comunicatore. Autore di alcuni dei migliori libri in circolazione sul tema (li trovi in fondo a questo articolo), Skande conosce bene il personal branding e soprattutto sa metterlo in pratica alla perfezione. Per sua stessa ammissione, come me è una persona introversa, eppure è una delle figure di spicco nel mondo del marketing e della comunicazione. È l’esempio di come si possa portare avanti un business, senza “vendersi” e comunicando con autenticità.

Errori comuni e come evitarli

Quando si parla di personal branding, gli errori tipici che tutti sottolineano sono spesso gli stessi: copiare gli altri, parlare a tutti, mancanza di coerenza tra comunicazione online e offline (cioè, l’esperienza cliente che cozza con quello che si dice), focalizzarsi troppo sull’estetica e poco sul contenuto.

Ed è tutto vero.

Ma questi errori sono la conseguenza della mancanza di chiarezza.

Personal branding senza sale…

Proviamo a ribaltare la prospettiva insieme, per capire da dove nasce davvero il problema che ti impedisce di lavorare bene sul tuo personal branding.

Se ti chiedo “Cos’è che non ti soddisfa esattamente in questo momento nella tua attività di freelance e creativə?” Uno degli errori più comuni è quello di pensare che nulla stia funzionando.

Forse in questo momento sei un po’ delusə, frustratə, confusə e quindi pensi che tutto ciò che hai fatto fino ad ora sia da buttare alle ortiche. Invece, è molto probabile che ci sia qualcosa che magari sta già dando i propri frutti o che potrebbe darne nel tempo. Per valutare in modo corretto e non emotivo che cos’è che effettivamente non sta funzionando come vorresti, ti invito a chiederti se per esempio il problema è legato a una questione di:

  • tempo (forse il tuo equilibrio vita-lavoro non è soddisfacente)
  • luogo (forse il contesto in cui ti trovi non fa per te)
  • approccio (forse fatichi a comunicare con assertività)
  • offerta (i tuoi prodotti o servizi non rispondono bene alle esigenze del mercato)
  • comunicazione (il tuo sito web non ti rappresenta)
  • relazione con un particolare fornitore o con un “cliente balena” che assorbe tutto il tuo tempo e ti impedisce di concentrarti sul tuo business

Se c’è un problema nel nostro business o nella nostra comunicazione, legato ai nostri comportamenti o a una mancanza di chiarezza negli obiettivi, fare il sito, lanciare i social, stilare un piano editoriale, comunque, non lo risolve. Non possiamo lavorare bene sul personal branding.

Il piano editoriale e le altre azioni che puoi mettere in campo sono un investimento sbagliato o, nella migliore delle ipotesi, solo palliativi.

L’errore comune che vedo spesso è proprio questo: puoi avere tutto (sito, social, newsletter), ma se il tuo business e la tua comunicazione non sono allineati a te, alimentarli diventa insostenibile nel tempo.

Rischi seriamente di finire in un vicolo cieco senza accorgertene. E così inizi a copiare, creare contenuti senza scopo e senza una vera identità.

Senza chiarezza, il tuo personal branding sarà senza sale.

Quando dovresti lavorare sul tuo personal brand?

Ora potresti chiederti se c’è un momento migliore di un altro per prendere in mano il tuo brand. Secondo me lavorare sul personal branding è sempre utile, ma per unə freelance lo è ancora di più quando:

  • è all’inizio della sua attività. Moltə freelance creativə lanciano il loro business spintə dal desiderio di poter fare il lavoro che amano, ma senza una direzione precisa e senza sapere quali sono davvero i loro punti di forza. Così finiscono per perdere fiducia nelle loro capacità e sentirsi schiacciatə da scadenze, clienti e urgenze.
  • È freelance di lungo corso, ma si trova in una fase di revisione ed evoluzione del suo business. Forse non ha mai lavorato davvero sul suo personal branding o forse lo ha fatto, ma è passato del tempo ed è ora di fare un rebranding.
  • Sente di non riuscire a comunicare chiaramente il suo valore e quindi non raggiunge gli obiettivi economici che aveva stabilito, lavora con clienti che non sono in linea con lui o lei e si sente frustratə.

Ti ritrovi in una di queste casistiche?
Potrebbe interessarti sapere che possiamo lavorarci insieme con un mentoring individuale oppure, una sola volta all’anno, nel percorso di gruppo Scopri il tuo brand.

Consigli di lettura: libri sul personal branding

Se stai cercando qualche libro da leggere per lavorare sul tuo personal branding, ecco i miei consigli di lettura:

  • Fai di te stesso un brand. Essere autorevole e ispirare fiducia, di Riccardo Scandellari, edito da Dario Flaccovio Editore. L’ho già citato e di lui ti consiglio di leggere… tutto! Il suo blog, la sua newsletter, i suoi libri, i suoi post su Instagram e LinkedIn. Skande ha sempre spunti interessanti di riflessione e trovi consigli utili da applicare in concreto nel quotidiano.
  • Digital you. Fai carriera con il personal branding online, di William Arruda e Luigi Centenaro, un must-have sul tema. Pratico e ispirante, è perfetto sia se parti da zero, sia per chi è freelance da tempo.
  • Zero concorrenti. Come usare il brand positioning per differenziarti e farti cercare dai clienti, di Marco De Veglia, edito da ROI Editori. Una lettura veloce per capire cos’è il posizionamento e come differenziarsi.
  • Story driven di Bernadette Jiwa si trova solo nell’edizione inglese. Un libro ispirante e concreto sulla forza dell’autenticità. Trovi esempi e consigli per raccontarti senza snaturarti.

“Il mio business non va. Sto facendo la cosa giusta?” mi ha chiesto proprio ieri una freelance che sto accompagnando con un percorso di mentoring. È una professionista molto brava, con la partita IVA da qualche anno, ma insoddisfatta. Scavando a fondo nella sua attività, abbiamo capito che il modello di business che aveva scelto – o meglio, che aveva intrapreso in modo più o meno consapevole – non è adatto al tipo di persona che è e al suo concetto di successo.

Questo perché, nel mondo freelance, di modelli di business – o business model – si parla troppo poco. Se ne parla molto, invece, nel contesto delle imprese, come “il modo in cui un’azienda crea, distribuisce e dà valore ai propri clienti”.

Lo so, di per sé è un concetto un po’ noioso e in apparenza astratto, ma è alla base di un’attività professionale felice e profittevole: se scegli un modello di business che non è sostenibile per te, rischi di chiuderti in una gabbia o di sacrificare troppo della tua vita personale.

Ad esempio, se sei una persona dedita alla famiglia e agli affetti e scegli un modello di business che ti porta a viaggiare spesso, lontano dalle persone a cui tieni, prima o poi, ne sentirai il peso, anche se il ritorno economico è interessante. Viceversa, se pensi che il successo si misuri soprattutto in termini di fatturato, un business model che non ti permette di scalare sarà sempre insoddisfacente per te.

Ognuno ha il suo concetto di successo, i suoi valori, i suoi punti di forza e le sue bucce di banana. Ecco perché, se sei freelance, scegliere il modello di business più adatto a te non può prescindere da chi sei.

 

Il futuro non cade dall’alto, il futuro si crea.
Se non sai con esattezza dove vuoi andare, non sorprenderti del luogo in cui arriverai.

Quando lavorare sul modello di business?

Lavorare sul modello di business è necessario se sei all’inizio della tua attività di freelance e anche se hai un’attività tua da tempo o da sempre (e magari questo lavoro non lo hai mai fatto veramente o lo hai fatto, ma molto tempo fa).

Perché è uno strumento con un duplice valore.

Da un lato è un esercizio di consapevolezza. Ti aiuta a comprendere se ti conosci bene – chi sei, quali risorse hai a disposizione, quali valori ti ispirano, quali sono i tuoi punti di forza, i tuoi comportamenti virtuosi e come metterli a frutto – e cosa fai: quali attività, sforzi e obiettivi ti occorre realizzare per raggiungere i risultati di business che desideri.

Dall’altro lato, ti permette di esaminare gli elementi chiave per impostare o rivedere la tua attività, ad esempio scegliendo a quali clienti vuoi rivolgerti davvero, su quali canali veicolare il tuo messaggio, che tipo di prodotti o servizi offrire.

Insomma, è l’occasione per riconsiderare il tuo posizionamento, ripensare a te e alla tua suite di vendita.

Modello di business per freelance: cos’è e perché dovresti averne uno

Il modello di business è un insieme di elementi che, combinati tra loro, ti permettono di creare e distribuire il tuo valore, inteso come valore dei tuoi prodotti o dei tuoi servizi, ma anche e soprattutto il tuo valore come persona e come professionista.

In estrema sintesi, è il modo in cui fai funzionare la tua attività e generi reddito. Non è solo “quello che fai” in quanto freelance (grafica, copywriting, consulenza, fotografia, illustrazione…), ma è come organizzi il tuo lavoro per creare valore, offrirlo ai clienti e guadagnare. Definire il tuo business model, ti aiuta a capire da dove arrivano le entrate, quali sono i costi, come gestire tempo e risorse, dove promuoverti e quali leve usare per crescere. E quindi mettere nero su bianco:

  • a chi ti rivolgi
  • cosa offri esattamente
  • qual è il valore che ottiene chi si affida a te
  • cosa ti distingue dagli altri freelance
  • perché le persone dovrebbero scegliere proprio te
  • su quali canali di comunicazione e promozione investire

È una mappa – “un modello” – del tuo business e di te come professionista.
E qui penso sia utile fare una distinzione perché, quando parlo di questi aspetti nei miei percorsi di gruppo e di business coaching individuale, spesso mi viene chiesto “ma qual è la differenza tra un modello di business e un business plan?”

Il business model non è il business plan

Il business plan prende in considerazione il progetto imprenditoriale, lo analizza e lo descrive da un punto di vista meramente numerico, quindi tenendo in considerazione dati, prezzi di mercato e potenziali concorrenti. Fare un business plan è importante se abbiamo un’attività strutturata, che ci richieda, per esempio, di acquistare strumenti o magari di affittare uno spazio o addirittura avere dei dipendenti. Ma non è uno strumento indispensabile se, ad esempio, parliamo di un’attività freelance.

Il modello di business, invece, serve sempre, a prescindere da quale sia l’ambito dell’attività. Ha bisogno di te. Deve contenere te come persona e come professionista, per aiutarti a comprendere come tu puoi creare valore per i tuoi clienti e in che modo puoi fare la differenza.
Uno degli strumenti più noti per definire il modello di business è il business model canvas.

Il business model canvas: cos’è, perché usarlo e come

Il business model canvas è uno strumento visuale che ti aiuta a definire in modo chiaro e sintetico come funziona il tuo business. Ideato da Alexander Osterwalder, serve a mappare, in un’unica pagina, tutti i 9 elementi fondamentali che compongono un’attività economica.
Ecco lo schema di Beople che uso io, se vuoi, puoi scaricare il pdf qui!

Infografica che illustra i 9 blocchi del business model canvas: 1) Identifichi le persone o aziende a cui ti rivolgi 2); la proposta di valore, che descrive il valore offerto, i problemi risolti o i desideri soddisfatti e cosa ti distingue dai tuoi concorrenti; 3) i canali, ovvero i mezzi attraverso i quali raggiungi i tuoi clienti, come sito web, social, newsletter, fiere, passaparola, networking; 4) come ti relazioni con i clienti; 5) i flussi di ricavi, cioè come guadagni, le fonti di entrata, quali servizi, prodotti, abbonamenti, collaborazioni hai attivato; 6) le risorse chiave, che includono le competenze, strumenti, rete, branding, contenuti necessari; 7) le attività chiave, che sono le azioni fondamentali per creare, promuovere e dare valore ai clienti; 8) i partner chiave, che sono le persone o entità con cui collabori, come altri freelance, fornitori, mentori, community; 9) la struttura dei costi, che comprende le spese principali per far funzionare il business.

Si legge da destra a sinistra. La parte destra dello schema ti aiuta a capire cosa ottieni in termini di ricavi e risponde alle domande “chi?” (who?) e “cosa?” (what?):

  • Chi sono i tuoi clienti più importanti?
  • In che modo interagisci con i tuoi clienti?
  • Attraverso quali canali riesci a raggiungere il mercato e quindi i tuoi clienti?
  • Che valore offri ai tuoi potenziali clienti e ai tuoi clienti attuali?
  • I tuoi clienti per cosa ti pagano e quali opzioni di acquisto offri loro?
  • È in questo modo che puoi stabilire a chi vendi, cosa vendi e cosa guadagni.

La parte sinistra dello schema ti aiuta a chiarire i costi e risponde alla domanda “come?” (how):

  • Quali sono le attività-chiave per creare il valore che offri sul mercato?
  • Quali sono le risorse indispensabili per creare il valore che offri ai clienti?
  • Chi ti aiuta a creare il valore che offri ai tuoi clienti? Cioè: quali sono i tuoi partner?
  • Quanto e come spendi per creare il valore che offri sul mercato?

Analizziamo uno per uno i 9 elementi del business model.

Diciamocelo: senza clienti, non c’è business. Ma questo non significa che tu debba vendere a tutti. Perché molti clienti là fuori non vanno bene per te. Conoscere il tuo target significa sapere con chiarezza chi sono le persone che traggono beneficio dal tuo lavoro: clienti diretti, partner, colleghi che ti consigliano. E vuol dire anche definire il tipo di persone con cui ti trovi bene e con cui ti piace lavorare. Prova a fare una lista, con queste domande guida:

  • Chi sono i tuoi clienti ideali? Che caratteristiche hanno?
  • Quali bisogni, desideri, problemi o aspirazioni hanno?
  • Oltre ai clienti, ci sono anche partner, colleghi o community che aiuti o con cui interagisci?

Qual è il cambiamento che porti nella vita o nel lavoro dei tuoi clienti? La proposta di valore (o value proposition) è il tuo “perché”: è ciò che ti rende utile e unicə. Ecco le domande guida che ti aiuteranno a definire il tuo perché:

  • Quale valore reale porti nella vita o nel lavoro delle persone che si affidano a te?
  • Qual è la trasformazione che offri e come accompagni i clienti in questo processo?

Ma per definire il tuo perché, devi prima conoscere il tuo valore. Anzi, devi imparare a darti il giusto valore. E questa è senz’altro una delle sfide più grandi per molte persone.

Nei miei percorsi di coaching incontro fin troppi professionisti e professioniste di talento, che non emergono perché non riescono a vedersi con obiettività. Si sminuiscono, hanno paura. Faticano a riconoscere di essere in gamba e non sanno come individuare i loro superpoteri, cioè quell’insieme di elementi speciali e distintivi che li differenziano dagli altri. E così restano bloccati.

Fare bene il tuo lavoro è solo parte del tuo business. Perché, diciamocelo chiaramente, puoi avere un servizio eccellente, ma se nessuno lo conosce, non lo venderai. La buona notizia è che puoi scegliere come, quanto e dove comunicare, senza snaturarti. Ecco le domande guida che possono aiutarti a capire in che modo farti conoscere:

  • Dove si trova il tuo pubblico?
  • Quali sono i canali attraverso cui fornisci i tuoi servizi o vendi i tuoi prodotti?
  • E quali potrebbero essere o sono i tuoi principali canali di visibilità: Instagram, LinkedIn, newsletter, passaparola, eventi?
  • In che modo entri in contatto con i tuoi clienti e come distribuisci il tuo valore?

Se rispondere a queste domande ti mette a disagio, forse anche tu stai vivendo ciò che provano molti dei miei coachee:

“Fulvia, ho paura di espormi”, “Non riesco a comunicare il mio valore”, “I social non mi piacciono e li trovo poco professionali”, “Ma io vorrei solo fare il mio lavoro, perché devo “vendermi” online? Non sono mica un’influencer!”

Sono alcune delle frasi che sento spesso tra i freelance che accompagno nei miei percorsi di coaching e di personal branding. Le resistenze che si nascondono dietro a queste affermazioni meriterebbero un articolo a parte (che scriverò). Qui faccio solo una considerazione: hanno molto a che vedere con l’autostima e l’autoefficacia, perché mascherano il timore di non farcela, di non essere abbastanza e la paura del giudizio degli altri.

Ti risuona?

Il punto 5 è la gestione del cliente. Una volta iniziata la collaborazione:

  • Come ti relazioni con i tuoi clienti?
  • Come gestisci i rapporti con loro?
  • Quali valori guidano la tua relazione professionale: chiarezza, empatia, puntualità, trasparenza…?
  • Quanto sei consapevole della tua comunicazione?

Cosa ti porti a casa dal tuo business? Qui entriamo nel vivo degli aspetti economici della tua attività, ma non solo. Perché la soddisfazione economica, per quanto importante, è uno degli aspetti che dovresti considerare e che va di pari passo con la tua idea di successo. Nel “cosa guadagni dalla tua attività”, puoi metterci ciò che conta per te: riconoscimento? Flessibilità? Tempo per te?

Misurare il guadagno in senso ampio ti aiuta a capire se stai costruendo qualcosa che ti nutre davvero. Quindi le domande guida che trovi qui sotto tengono conto anche di questo:

  • Quanto fatturi mensilmente o annualmente? O quanto vorresti fatturare?
  • Qual è il tuo margine (quanto ti resta dopo i costi)?
  • Ma anche: quanto sei soddisfattə? Ti senti riconosciutə e appagatə?

L’autorealizzazione è qualcosa di diverso per ognunə di noi.

In questo punto dello schema ci sei tu. Le tue risorse personali – i tuoi punti di forza, le tue competenze, attitudini, passioni e valori – sono la base su cui costruire un business autentico e sostenibile.

Prima di pensare a cosa vendere e a chi, è importante che tu abbia chiaro su cosa puoi davvero fare affidamento. È un lavoro che ti aiuta ad allineare la tua attività con i tuoi bisogni più profondi, a capire se per te, per esempio, al primo posto ci sono gli affetti o il successo. Perché cambia completamente lo scenario verso cui dirigere la tua attività. La tua indole o i tuoi bisogni cosa ti fanno mettere al primo posto? La realizzazione a tutti i costi, la tranquillità, il benessere, la famiglia, il riconoscimento?

Comprendere cosa desideri per te è alla base di tutto.

Poi bisogna esaminare quali sono le tue competenze, le tue conoscenze, le tue esperienze, ma anche le tue virtù, quelle che io chiamo i nostri super poteri: quei nostri elementi unici che intervengono quando abbiamo bisogno di un supporto per realizzare i nostri obiettivi. Allo stesso tempo, vanno analizzate anche le tue bucce di banana, cioè tutte quelle trappole e quelle emozioni su cui scivoli regolarmente, che ti impediscono di affrontare le sfide e di ottenere i risultati che desideri.

Ecco alcune domande guida per definire chi sei nel business:

Solo chiariti questi aspetti puoi analizzare in senso più stretto la tua attività per capire di cosa ha davvero bisogno il mondo nell’ambito della tua professione, in che modo puoi fare la differenza con i tuoi servizi e come comunicarli.

Forse, potrebbe interessarti leggere anche: come trovare il tuo obiettivo personale

Il secondo elemento su cui concentrarsi è definire cosa fai, quali sono le attività più importanti per te, quelle che contraddistinguono il tuo lavoro e che, potenzialmente, ti distinguono dagli altri. Definire le attività chiave ti aiuta a capire dove concentrare le energie. Non tutto quello che fai ha lo stesso peso: individuare le azioni strategiche che fanno davvero la differenza nel tuo lavoro è importante, perché il tempo è una risorsa limitata e le tue energie sono limitate. Disperderle in attività che non portano valore a te ai tuoi clienti è uno spreco.

Ecco alcune domande guida per mettere a fuoco questi aspetti:

  • Quali sono le attività che svolgi ogni giorno o ogni settimana?
  • Quali sono le azioni irrinunciabili che fanno davvero la differenza?
  • Cosa fai meglio o in modo diverso rispetto ad altri freelance del tuo settore?

Prova a fare una lista e a rispondere a queste domande:

Con chi collabori?

Quali sono i tuoi partner fondamentali, le persone che ti aiutano, con le quali lavori e in genere su cui puoi contare?

Possono essere colleghi quindi un tuo network professionale, ma possono essere anche familiari, amici e mentori: persone che per te sono un modello e un punto di riferimento.

Nessunə freelance è un’isola. Avere una rete è fondamentale. La capacità di costruirti un ampio e solido network ti porta diversi vantaggi: ti permette di avere un confronto continuo, conoscere punti di vista interessanti, ti fa sentire meno solə e preoccupatə e aumenta anche la probabilità di avere o meno successo nel tuo lavoro.

Se ti interessa approfondire, ho scritto un articolo proprio su questo: Come fare un networking efficace

L’ultimo punto riguarda i costi e quindi quello che tu investi sia in termini concreti – strettamente economici – sia in termini immateriali. Quindi che cosa investi:

  • per l’affitto di uno spazio di lavoro
  • per l’automobile o per spostarti
  • nella tua formazione

Ma anche cosa investi in termini di tempo e di stress:

  • Quanto tempo dedichi al tuo lavoro?
  • Quanto stress ti costa?
  • Ci sono cose che ti assorbono più energie di quante te ne restituiscono?

 

Tipi di modelli di business per freelance

Con l’analisi di tutti questi 9 elementi di base puoi creare un modello che ti aiuti a pianificare i tuoi obiettivi, a definire un piano d’azione per portare delle innovazioni nel tuo lavoro o nei tuoi servizi o per fare un cambiamento professionale. In tutti casi, non esiste un modello giusto in assoluto: il migliore è quello che rispecchia le tue attitudini, i tuoi valori, i tuoi tempi e la tua idea di successo.

Qui di seguito ti presento alcuni dei business model più utilizzati dai freelance, i loro pro e le loro sfide. Ma tieni conto che molti freelance scelgono la formula ibrida, che unisce più modelli di business, proprio per rendere la loro attività più flessibile e sostenibile.

Vendita di servizi

È il più diffuso tra chi è freelance e lavora, per esempio, nel mondo della comunicazione e del digital e che mette a disposizione le proprie competenze professionali per dare ai suoi clienti un servizio personalizzato. Di solito scelgono questo modello di business:

  • Grafici
  • Social media manager
  • Business coach
  • Copywriter
  • Traduttori
  • Architetti
  • Fotografi
  • Consulenti di marketing
  • Avvocati

Pro:

  • È diretto e immediato: offri un servizio, ricevi un compenso
  • Ti permette di coltivare la relazione con i tuoi clienti e di fornire un servizio personalizzato
  • Ti aiuta a costruire relazioni di medio-lungo termine

Sfide:

  • Non è scalabile. Quindi il tempo è direttamente proporzionale al guadagno (ergo se non lavori, non fatturi)
  • Dato che il rapporto è personalizzato, rischi di dipendere da pochi clienti
  • Per lo stesso motivo, devi porre limiti chiari e fissare tariffe adeguate al tempo che dedichi e alla personalizzazione del servizio

È un modello di business interessante se per te la cura del cliente è importante, ti piace “lavorare su misura”, vuoi esserci per le persone che ti scelgono.

Vendita di prodotti (digitali e non)

Il concetto qui è la scalabilità: crei un prodotto – fisico o digitale – che puoi vendere a più persone, senza doverlo rimpastare ogni volta. Può essere un corso online, un e-book, un set di illustrazioni o di foto stock… Lo fai una volta, poi lo vendi tutte le volte che te lo chiedono.

Di solito scelgono questo modello di business:

  • Formatori
  • Consulenti
  • Professional Organizer
  • Artigiani

Pro:

  • Potenzialmente scalabile all’infinito o quasi (una volta creato, il prodotto può essere venduto N volte)
  • Il guadagno è svincolato dal tempo e dalla tua presenza, almeno in parte

Sfide:

  • Richiede un investimento iniziale importante: tempo, soldi, energie e promozione non sono un optional (chi decanta il metodo infallibile per vendere corsi senza fare nulla, sta mentendo)
  • Servono competenze tecniche e di marketing, perché non puoi delegare tutto
  • Non ti garantisce di vendere automaticamente, servono comunque personal branding, visibilità e promozione costante, anche a pagamento
  • È un modello di business interessante se hai un prodotto o un servizio replicabile, sai cos’è un funnel e non temi di investire per nutrirlo e rivederlo nel tempo.

Abbonamenti e membership

In questo modello, il tuo guadagno deriva da pagamenti ricorrenti. I tuoi clienti non acquistano un singolo servizio o un singolo prodotto, ma sottoscrivono un abbonamento (mensile, trimestrale, annuale) per accedere a contenuti e servizi continuativi: videocorsi, podcast, webinar, masterclass, newsletter e gruppo riservato agli abbonati. Di solito scelgono questo modello di business i freelance pronti a creare e nutrire la loro community.

Pro:

  • È scalabile, le entrate sono regolari e prevedibili
  • La forza della community: chi entra nel tuo mondo, spesso rimane e ti promuove
  • Abbatti il rischio: più clienti hai, meno ti fai male se ne perdi qualcuno

Sfide:

  • Richiede costanza e organizzazione: ogni mese devi creare nuovi contenuti e mantenere viva l’attenzione della tua community
  • Per costruire fiducia, servono tempo, investimenti e promozione

È un modello interessante se ti piace l’idea di costruire una community di persone che credono in te, sai che ci sarà da lavorare molto e che un personal branding coerente è la base per costruire un pubblico solido e fedele.

Licenze e royalty

Questo modello si basa sulla creazione di opere o prodotti originali che vengono concessi a terzi, in cambio di una licenza d’uso o del pagamento di royalty. In altre parole: l’opera resta di tua proprietà, ma permetti ad altri di utilizzarla secondo termini prestabiliti, ricavandone un guadagno ogni volta che viene utilizzata, venduta o distribuita. Di solito scelgono questo modello di business:

  • Musicisti, fotografi, illustratori, designer che caricano i propri contenuti su piattaforme come Envato, Creative Market, Shutterstock
  • Sviluppatori che creano software, plugin, template, app e li rilasciano con licenza d’uso

Pro:

  • Una volta creato e registrato il contenuto, puoi guadagnare anche mentre ti dedichi ad altro

Sfide:

  • Devi tutelarti legalmente e trovare canali affidabili
  • Da solo potrebbe non bastare a sostenere un’attività freelance, soprattutto all’inizio

È un modello interessante se sai creare contenuti originali che possono essere riutilizzati e vuoi ampliare il tuo pubblico e il tuo guadagno, senza aumentare le ore di lavoro.

Affiliate marketing e collaborazioni

Questo modello di business ti permette di monetizzare promuovendo prodotti o servizi creati da altri. Quando qualcuno acquista tramite il tuo link affiliato o grazie a una tua segnalazione, tu guadagni una commissione. Di solito scelgono questo modello i content creator.

Pro:

  • Costi e oneri ricadono sul venditore originale
  • È un modo efficace per diversificare le entrate, soprattutto se già crei contenuti e curi la tua presenza online

Sfide:

  • È fondamentale selezionare bene i prodotti o i brand con cui collabori, perché tutto sia coerente col tuo personal branding

È un modello interessante se hai già un seguito online o una community affezionata (anche piccola, ma ben profilata), ti piace consigliare strumenti, risorse, servizi che usi e apprezzi davvero.

Come scegliere il modello di business “giusto per te”: due storie di freelance

Come hai visto, i modelli di business hanno orizzonti temporali diversi. Ci sono quelli orientati al guadagno immediato e quelli pensati per la sostenibilità a lungo termine. I primi – come la vendita diretta di servizi su misura – ti permettono di incassare in tempi rapidi, ma sono vincolati al tuo tempo: se ci sei fatturi, se non ci sei non fatturi. Gli altri – come l’abbonamento, i prodotti digitali o le royalty – richiedono più tempo e più investimenti all’inizio, ma ti permettono di avere entrate ricorrenti e prevedibili, e quindi un po’ più di serenità nel lungo periodo. È il motivo per cui molti freelance decidono di diversificare le fonti di guadagno combinando più modelli di business.

Questo è lo schema generale. Ma come adattarlo al tuo caso?
Dipende dal tuo settore, da come ti piace lavorare (in solitudine o in gruppo), da quali sono i tuoi obiettivi personali e professionali.

Tutto nasce da te.

Per capire quanto, ti racconto la storia di due professioniste che ho accompagnato in questi anni: Serena Silvi e Silvia Bettini.

Serena è una mamma, una moglie premurosa e un’avvocata. Quando mi ha contattata, era uscita dal mondo del lavoro e desiderava ripartire da sé, costruendo un business che le permettesse di passare più tempo con la sua famiglia e di ripensarsi professionalmente. Abbiamo tracciato un modello che le permettesse di trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro: mantenere una quota di incarichi come avvocata tradizionale, ma mettendo anche in campo altre competenze, per far fruttare la sua professionalità in un nuovo settore, quello dei diritti digitali.

Silvia è un’illustratrice di grande esperienza, gentile, timida, introversa. Quando mi ha contattata, lavorava già da tantissimi anni nel campo artistico e sentiva una forte motivazione a fare un cambio di business. Desiderava evolvere professionalmente: passare a un modello di business scalabile – quello della membership – e cimentarsi in attività nuove, che non aveva ancora esplorato ma che, forse, era desiderosa e sicuramente capace di fare: la formazione e la consulenza nel settore dell’illustrazione.

Gli errori comuni nella scelta del modello di business

Nella scelta del tuo modello di business, gli elementi da prendere in considerazione riguardano sempre te come persona e come professionista, quali sono i tuoi valori e le tue priorità: gli elementi fondanti che non vuoi che vengano a mancare da qui ai prossimi anni.

Ma quello che succede di solito è che si procede a tentoni, si fa da sé. Ed è proprio questo l’errore più comune. Perché può portarti dove non vorresti essere, lontano dai tuoi valori e da cosa desideri davvero per te. Ad esempio, potresti scegliere la strada che hanno intrapreso altri freelance che fanno il tuo stesso lavoro pensando che sia l’unica possibile. Oppure, potresti farti trascinare dalle contingenze e andare a caso.

Io credo che sia consigliabile farsi aiutare. Perché per noi, da soli, è difficile riuscire a fare lo zoom out, cioè, guardarsi da fuori e capire che cos’è quel qualcosa che non sta funzionando o anche più semplicemente quali sono i nostri punti di forza e i nostri punti di criticità. A volte ci ragioniamo, ma poi ci avvitiamo attorno a un inutile vittimismo o, al contrario, contiamo su un entusiasmo destinato a volare via, con il primo soffio di vento.

Un business coach, o un consulente qualificato nel merito, è la figura che meglio può aiutarti e farti le domande giuste sia sugli aspetti personali che sugli obiettivi professionali. Può supportarti con degli strumenti – di brainstorming e feedback, ad esempio – che ti aiutano a progettare il modello di business più adatto a te.

Stai cercando una figura di questo tipo? Se lo desideri, posso aiutarti. Scrivimi e raccontami la tua storia. Credo fermamente nella realizzazione professionale, che non può essere scollegata dalla felicità personale. Affinché questo allineamento avvenga, è necessario curare la conoscenza di sé e del mondo che ci circonda, progettando obiettivi che siano in linea con le persone di cui vogliamo circondarci e in linea con la persona che noi vogliamo essere.

Consigli di lettura: libri per lavorare sul modello di business e su ciò che vi ruota attorno

Se stai cercando qualche libro da leggere per lavorare sul tuo business model – e sul tuo business in generale – ecco i miei consigli di lettura:

  • Business Model You. Il metodo in una pagina per reinventare il tuo lavoro e la tua carriera, di Tim Clark, Bruce Hazen e Luigi Centenaro. Edito da Hoepli.
  • Creare modelli di business. Un manuale pratico ed efficace per ispirare chi deve creare o innovare un modello di business, di Alexander Osterwalder e Yves Pigneur. Edito da LSWR.
  • Design your life. Come fare della tua vita un progetto meraviglioso, di Bill Burnett e Dave Evans, edito da Rizzoli.

 

Scopri perché pianificare non funziona se prima non hai chiara la direzione. Strategie e consigli pratici per organizzare il tuo lavoro con obiettivi concreti.

Il planning non funziona. A meno che tu non abbia chiaro dove vuoi andare.

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Realizzarsi può voler dire tante cose: esprimere le proprie potenzialità, guadagnare bene, essere riconosciuti dagli altri o diventare pienamente la persona che abbiamo deciso di essere. In questo post ti parlo di autorealizzazione a partire da 3 fonti autorevoli e concludo con alcuni miei suggerimenti. Realizzarsi non è un miraggio, ma serve la strategia giusta.

In questi mesi sto lavorando al redesign del mio sito. Uno degli strumenti che uso per capire chi sono i miei clienti tipo – e che ti consiglio – è la mappa dell’empatia.

La cosa che salta all’occhio è che quasi tutti sono uniti da uno stesso filo rosso. Se infatti chiedessi a ciascuno “Ma cos’è che ti manca?”, avrei risposte tipo:

  • voglio sentirmi più appagata/o, voglio un maggiore riconoscimento del mio valore
  • provo un senso di rivalsa, c’è qualcosa che voglio riscattare
  • voglio guadagnare di più, passarmela meglio con i soldi
  • voglio fare un lavoro che mi appassiona, allineato con i miei valori
  • voglio poter esprimere la mia libertà intellettuale.

Se qualcuna di queste voci risuona anche in te, ti do il benvenuto: qui parlo di autorealizzazione e di come lasciare il proprio segno nel mondo.

A questo proposito, condivido 3 fonti autorevoli da cui ho tratto ispirazione e infine ti lascio con gli strumenti cardine del mio metodo.

1. Il mito di Er in Platone

Alla fine della Repubblica, a mo’ di monito, Platone ci parla di Er: un soldato valoroso che venne condannato a morte in battaglia. Mentre il suo cadavere stava per essere incenerito sul rogo sacro, ritornò in vita per raccontare ciò che aveva visto nell’aldilà.

Dopo la morte le anime salgono al cielo o scendono sottoterra, ricevono premi o tormenti a seconda delle azioni compiute in vita. Trascorsi mille anni, prima di reincarnarsi, si presentano al cospetto delle tre Moire, il cui compito è tessere il filo della vita: a Cloto spetta il presente, a Lachesi il passato e ad Àtropo il futuro.

A ogni anima viene data la possibilità di scegliere il proprio destino: «Sarete voi a scegliere il dàimon [‘nume tutelare’, nda] e, nella immensa vastità di paradigmi di vita a vostra disposizione, sceglietene uno cui sarete necessariamente congiunti».

Er racconta di come le anime, pur commettendo errori nella scelta, fossero desiderose di decidere di sé e ne avessero tutta la facoltà.

Conclusione di Er, Platone e anche mia: la responsabilità è di chi sceglie. In altre parole non ci sono scuse: ognuno è artefice del proprio destino.

2. La teoria della ghianda di James Hillman

A più di duemila anni di distanza, James Hillman, psicoanalista e saggista americano, riprende il mito di Er e associa il concetto platonico di dàimon a quello di vocazione.

Secondo Hillman, ogni persona dovrebbe considerare la propria vocazione come un elemento imprescindibile della propria esistenza, in base a cui determinare cosa fare della propria vita.

Ciascuno di noi, fin da bambino, proprio come una piccola ghianda, racchiude già in sé le potenzialità per crescere e diventare una possente quercia.

Ognuno ha un talento innato che lo rende unico e irripetibile, una propria personalità: quello è il seme da nutrire e far crescere per rendere autentica la propria esistenza e realizzarsi.

Io lo chiamo Superpotere.

3. L’autorealizzazione secondo Abraham Maslow

«L’autorealizzazione è la tendenza a diventare tutto ciò che si è capaci di diventare».

Maslow ha dedicato buona parte della vita a studiare l’autorealizzazione, che intende come il più alto livello che l’essere umano può raggiungere.

Il desiderio di autorealizzazione può avere motivazioni e forme diverse: la ricerca di un equilibrio tra lavoro e vita privata, godersi il tempo libero e i propri hobby preferiti, riscattarsi dall’indigenza e guadagnare di più, realizzare un business che diventi anche passione e missione di vita.

Maslow credeva nella grandezza dell’umanità, e ci credo anch’io. Però la vocazione e il bisogno di autorealizzazione non implicano da soli la messa a terra delle azioni necessarie per conseguire ciò che desideriamo. È necessario disegnare un percorso e tracciare le strade utili per raggiungere la meta, e può non essere facile e lineare.

In genere, la scalata verso l’autorealizzazione si costruisce per gradi. Consiglio sempre di ripartire dai tuoi valori, dalla tua visione e missione.

Stabilisci la tua idea di autorealizzazione

Innanzitutto, chiarisci cosa significa autorealizzazione per te.

Se non sai esattamente dove vuoi andare, dove arriverai? Se non sai cosa desideri, come puoi sperare di ottenerlo?

Una delle principali difficoltà che puoi incontrare è avere un concetto troppo vago e generalizzato di autorealizzazione, e non avere la più pallida idea di come fare a trasformare il tuo desiderio in un obiettivo concreto.

Magari la tua realizzazione personale coincide con un ampio concetto di felicità, serenità o tempo di qualità, ma non sai ancora esattamente come riuscire a fare accadere nella tua vita le cose per le quali ti sentiresti realizzata/o.

Prova a chiederti: cosa deve accadere perché io possa considerare raggiunto il mio obiettivo?

Stabilisci una immagine ben definita nella tua mente, una fotografia che descriva molto dettagliatamente la risposta a questa domanda.

Parti dallo Scenario

Realizzarsi prevede un prezzo da pagare e non può prescindere dalla gestione delle emozioni, dalla responsabilità e dall’impegno. Se vuoi toccare con mano i tuoi sogni devi lavorare su di te quanto sul tuo obiettivo. Solo così potrai progettare un cambiamento in grado di generare risultati.

Per aiutarti a realizzare ciò che adesso non riesci a vedere all’orizzonte, ho creato Scenario, un percorso su misura che ti farà vedere in modo chiaro e preciso cosa serve per avviare o cambiare la tua attività.

Guarda come funziona e, per qualsiasi ulteriore informazione, scrivimi.

In questo articolo ti spiego in cosa consiste l’autostima, cosa può viziarla e cosa, soprattutto, alimentarla. Mi riferisco in particolare a un’altra qualità importante e forse meno nota: l’autoefficacia, che con l’autostima va a braccetto.

C’è un argomento su cui mi sono documentata e arrovellata per anni: l’autostima. Sia per me stessa, sia per i miei coachee. Perché ammettiamolo: è un tema richiestissimo, che veste bene a tuttə. Non ne abbiamo mai abbastanza, c’è sempre margine di miglioramento e conquista.

Cos’è l’autostima?

Secondo la definizione di Umberto Galimberti – se mi segui, sai quanto ami questo autore –

l’autostima è «la considerazione che un individuo ha di sé stesso».

È una autovalutazione che si basa su una serie di percezioni che abbiamo di noi stessi, per esempio sul confronto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, ma anche su cosa crediamo che gli altri pensano di noi.

L’autostima è la valutazione realistica e stabile che abbiamo di noi stessi: quanto ci riconosciamo valore, competenza e capacità di affrontare ciò che accade.
Non è sicurezza assoluta né pensiero positivo: è il modo in cui interpretiamo chi siamo e cosa possiamo fare, e da cui dipendono scelte, relazioni, lavoro e direzione.

Lo psicologo e filosofo americano William James definiva l’autostima come il rapporto tra il Sé percepito e il Sé ideale. Il Sé percepito è la considerazione che hai di te, le caratteristiche e qualità che valuti di avere; il Sé ideale la persona che vorresti essere.

Secondo James, una persona ha una bassa autostima quando il Sé percepito è inferiore al Sé ideale. Più è ampia la discrepanza tra come ci vediamo e come vorremmo essere, più la nostra disistima aumenta.

In termini più semplici e concreti possiamo dire che l’autostima è la differenza tra le aspettative che abbiamo di noi e i successi che siamo in grado di generare.

Il bello del Sé ideale è che ci stimola alla crescita e a raggiungere i nostri obiettivi, ma se lo collochiamo troppo distante da quello reale, può darci ansie ed emozioni negative. Per ridurre il gap, possiamo o ridimensionare le nostre aspirazioni (peccato…) o cercare di migliorarci (fosse facile!).

Il problema è che, quando facciamo autoanalisi, la nostra autostima è falsata dalle nostre pippe mentali o, detta in modo più elegante, da frequenti bias e distorsioni cognitive, ossia pensieri sparsi, arbitrari, quasi mai supportati da dati oggettivi.

I film mentali e la narrazione interiore

Ti faccio qualche esempio di alcuni pensieri distorti ricorrenti, che partono nel nostro cervello (poi fammi sapere se ti riconosci):

  • Sento che… le cose non andranno bene.
    Pensiamo in modo emotivo e irrazionale, ignoriamo qualsiasi possibilità di successo. Entriamo in uno stato di negatività, ansia e paura, ancora prima che il peggio sia avvenuto. La narrazione tipo è: “Non mi butto, tanto non ce la faccio”.
  • Vedo che… andrà a finire così.
    Partiamo da convinzioni limitanti e in base a quelle filtriamo la realtà. Anziché vedere il quadro completo, ne enfatizziamo una parte. Il nostro cervello farà di tutto per confermare ciò che abbiamo già stabilito e, alla prima evidenza, diremo con soddisfazione: “Ecco, lo sapevo che sarebbe finita così!”.
  • So già che…
    Pur non avendo alcun dato oggettivo, crediamo di sapere quello che gli altri provano e pensano di noi. Così evitiamo qualsiasi approccio o sforzo comunicativo: “Tanto lo so che non mi sopporta…”.
    Questi meccanismi sono tanto inutili quanto dannosi e purtroppo consueti. Sono tra i maggiori sabotatori dei nostri progetti di vita e lavoro.

Lungi dal rappresentare un miraggio, l’autostima dovrebbe stimolare un processo continuo e per così dire ‘neutro’ di autovalutazione, allo scopo, da un lato, di tenere allenate le nostre abilità e punti di forza, e dall’altro di gestire le nostre criticità o, come le chiamo io, bucce di banana, su cui scivoliamo regolarmente. Queste attività andrebbero previste come una sorta di manutenzione costante, di tagliando regolare di noi stessi.

Ma se ti dicessi che c’è qualcosa che viene prima dell’autostima ed è così strettamente connessa che può addirittura alimentarla? Sto parlando dell’autoefficacia o agentività.

Autoefficacia o agentività, ovvero la facoltà umana di far accadere le cose

L’autoefficacia è la convinzione realistica di poter gestire una situazione e raggiungere un risultato. È la fiducia nelle proprie capacità di agire, non nel proprio valore.

Quello dell’agency – o self-efficacy – è un concetto espresso dallo psicologo canadese Albert Bandura, altro mio mito. Potremmo tradurlo con: capacità di operare, di essere ‘agenti’, di portare a termine un compito.

Ti è mai capitato di pensare di una persona: “Riesce sempre bene in quello che fa”? Ecco, quell’individuo ha un buon senso di autoefficacia. Avere il progetto più bello del mondo non implica automaticamente farcela: è la nostra autoefficacia a fare la differenza.

Essere autoefficace però non significa essere bravə o intelligente, ma avere la capacità di trasformare le idee in azioni e le azioni in risultati concreti. Vale per tutti i campi: l’apprendimento, lo sport, l’organizzazione e il management, ma anche per i piccoli e grandi obiettivi quotidiani. Bandura definisce l’autoefficacia come:

«La convinzione di essere in grado di organizzare e compiere la sequenza di azioni necessaria a produrre un determinato risultato».

Non si tratta di una generica fiducia in sé, ma di un senso di adeguatezza, di confidenza, che si ha nell’affrontare i vari compiti, eventi e situazioni da gestire, in modo efficace e a proprio agio.

Il senso di autoefficacia non è l’insieme delle competenze che ti servono a fare bene qualcosa, ma la convinzione che hai nella possibilità di riuscirci. Questo senso regola anche il modo in cui ti poni davanti alle piccole e grandi scelte di tutti i giorni.

Cosa alimenta l’autoefficacia?

L’autoefficacia viene alimentata dalla fiducia generata da esiti positivi, successi personali e prove impegnative che abbiamo superato in precedenza.

Non a caso ai miei clienti suggerisco spesso di ripercorrere il passato alla ricerca di questi successi, per riconoscerli e celebrarli, affinché diventino generatori di nuovi successi, basati sugli stessi presupposti.

Per aiutarti in questo processo, ho creato l’esercizio creativo del Superpotere. Con questo esercizio, breve e intenso, ti guido a far mente locale su quanto di buono hai realizzato nel corso della tua storia, personale e professionale. È molto utile per rafforzare la tua autostima ed autoefficacia, e per darti nuova linfa e motivazione verso le sfide che ti aspettano.

Come possiamo lavorarci insieme

Arriva sempre un momento in cui serve fermarsi e guardarsi con più onestà: capire dove sei, cosa vuoi davvero e quali risorse puoi attivare per arrivarci.
Autostima e autoefficacia non sono etichette psicologiche, ma strumenti di orientamento: ti aiutano a prendere decisioni più consapevoli e a costruire un percorso professionale che non ti tradisce, ma ti rappresenta.

Se senti che questo è un buon momento per lavorare sulla tua identità professionale, definire obiettivi chiari e rafforzare la tua capacità di agire con più lucidità, possiamo farlo insieme, con un percorso pratico, concreto e centrato su di te.

📩 Scrivimi se vuoi capire da dove partire o prenota un’ora su Zoom per iniziare a lavorarci da subito. A volte basta il passo giusto, fatto nel momento giusto, per rimettere in movimento tutto il resto.

Quando non se ne può più si cambia, diceva Moravia. Il cambiamento è una mutazione, il passaggio da una condizione ad un’altra, e può essere una rivoluzione copernicana, una trasformazione parziale o una variazione minima della situazione attuale.

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