Autostima e autoefficacia: il segreto della fiducia in sé stessi
In questo articolo ti spiego in cosa consiste l’autostima, cosa può viziarla e cosa, soprattutto, alimentarla. Mi riferisco in particolare a un’altra qualità importante e forse meno nota: l’autoefficacia, che con l’autostima va a braccetto.
C’è un argomento su cui mi sono documentata e arrovellata per anni: l’autostima. Sia per me stessa, sia per i miei coachee. Perché ammettiamolo: è un tema richiestissimo, che veste bene a tuttə. Non ne abbiamo mai abbastanza, c’è sempre margine di miglioramento e conquista.
Secondo la definizione di Umberto Galimberti – se mi segui, sai quanto ami questo autore –
l’autostima è «la considerazione che un individuo ha di sé stesso».
È una sorta di autovalutazione che si basa su una serie di percezioni che abbiamo di noi stessi, per esempio sul confronto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, ma anche su cosa crediamo che gli altri pensino di noi.
Lo psicologo e filosofo americano William James definiva l’autostima come il rapporto tra il Sé percepito e il Sé ideale. Il Sé percepito è la considerazione che hai di te, le caratteristiche e qualità che valuti di avere; il Sé ideale la persona che vorresti essere.
Secondo James, una persona ha una bassa autostima quando il Sé percepito è inferiore al Sé ideale. Più è ampia la discrepanza tra come ci vediamo e come vorremmo essere, più la nostra disistima aumenta.
In termini più semplici e concreti possiamo dire che l’autostima è la differenza tra le aspettative che abbiamo di noi e i successi che siamo in grado di generare.
Il bello del Sé ideale è che ci stimola alla crescita e a raggiungere i nostri obiettivi, ma se lo collochiamo troppo distante da quello reale, può darci ansie ed emozioni negative. Per ridurre il gap, possiamo o ridimensionare le nostre aspirazioni (peccato…) o cercare di migliorarci (fosse facile!).
Il problema è che, quando facciamo autoanalisi, la nostra autostima è falsata dalle nostre pippe mentali o, detta in modo più elegante, da frequenti distorsioni cognitive, ossia pensieri sparsi, arbitrari, quasi mai supportati da dati oggettivi.
I film mentali e la narrazione interiore
Ti faccio qualche esempio di alcuni pensieri distorti ricorrenti, che partono nel nostro cervello (poi fammi sapere se ti riconosci):
- Sento che… le cose non andranno bene.
Pensiamo in modo emotivo e irrazionale, ignoriamo qualsiasi possibilità di successo. Entriamo in uno stato di negatività, ansia e paura, ancora prima che il peggio sia avvenuto. La narrazione tipo è: “Non mi butto, tanto non ce la faccio”. - Vedo che… andrà a finire così.
Partiamo da convinzioni limitanti e in base a quelle filtriamo la realtà. Anziché vedere il quadro completo, ne enfatizziamo una parte. Il nostro cervello farà di tutto per confermare ciò che abbiamo già stabilito e, alla prima evidenza, diremo con soddisfazione: “Ecco, lo sapevo che sarebbe finita così!”. - So già che…
Pur non avendo alcun dato oggettivo, crediamo di sapere quello che gli altri provano e pensano di noi. Così evitiamo qualsiasi approccio o sforzo comunicativo: “Tanto lo so che non mi sopporta…”.
Questi meccanismi sono tanto inutili quanto dannosi e purtroppo consueti. Sono tra i maggiori sabotatori dei nostri progetti di vita e lavoro.
Lungi dal rappresentare un miraggio, l’autostima dovrebbe stimolare un processo continuo e per così dire ‘neutro’ di autovalutazione, allo scopo, da un lato, di tenere allenate le nostre abilità e punti di forza, e dall’altro di gestire le nostre criticità o, come le chiamo io, bucce di banana, su cui scivoliamo regolarmente. Queste attività andrebbero previste come una sorta di manutenzione costante, di tagliando regolare di noi stessi.
Ma se ti dicessi che c’è qualcosa che viene prima dell’autostima ed è così strettamente connessa che può addirittura alimentarla? Sto parlando dell’autoefficacia o agentività.
L’agentività, ovvero la facoltà umana di far accadere le cose
Quello dell’agency – o self-efficacy – è un concetto espresso dallo psicologo canadese Albert Bandura, altro mio mito. Potremmo tradurlo con: capacità di operare, di essere ‘agenti’, di portare a termine un compito.
Ti è mai capitato di pensare di una persona: “Riesce sempre bene in quello che fa”? Ecco, quell’individuo ha un buon senso di autoefficacia. Avere il progetto più bello del mondo non implica automaticamente farcela: è la nostra autoefficacia a fare la differenza.
Essere autoefficace però non significa essere bravə o intelligente, ma avere la capacità di trasformare le idee in azioni e le azioni in risultati concreti. Vale per tutti i campi: l’apprendimento, lo sport, l’organizzazione e il management, ma anche per i piccoli e grandi obiettivi quotidiani. Bandura definisce l’autoefficacia come:
«La convinzione di essere in grado di organizzare e compiere la sequenza di azioni necessaria a produrre un determinato risultato».
Non si tratta di una generica fiducia in sé, ma di un senso di adeguatezza, di confidenza, che si ha nell’affrontare i vari compiti, eventi e situazioni da gestire, in modo efficace e a proprio agio.
Il senso di autoefficacia non è l’insieme delle competenze che ti servono a fare bene qualcosa, ma la convinzione che hai nella possibilità di riuscirci. Questo senso regola anche il modo in cui ti poni davanti alle piccole e grandi scelte di tutti i giorni.
Cosa alimenta l’autoefficacia?
L’autoefficacia viene alimentata dalla fiducia generata da esiti positivi, successi personali e prove impegnative che abbiamo superato in precedenza.
Non a caso ai miei clienti suggerisco spesso di ripercorrere il passato alla ricerca di questi successi, per riconoscerli e celebrarli, affinché diventino generatori di nuovi successi, basati sugli stessi presupposti.
Per aiutarti in questo processo, ho creato l’esercizio creativo del Superpotere. Con questo esercizio, breve e intenso, ti guido a far mente locale su quanto di buono hai realizzato nel corso della tua storia, personale e professionale. È molto utile per rafforzare la tua autostima ed autoefficacia, e per darti nuova linfa e motivazione verso le sfide che ti aspettano.
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